L’obbligo in capo al Giudice
La fase istruttoria e la proposta transattiva
Il recente Decreto del Fare (D.L. 69/2013) ha reintrodotto l’obbligo in capo al Giudice di formulare una proposta conciliativa o transattiva che le parti hanno il dovere di valutare al fine di transigere nel più breve tempo possibile le cause civili. Secondo un dato fornito dal Governo nel 2009, i giudizi civili pendenti in Italia erano quasi 6 milioni, con una durata, tra rinvii ed assenze dei Giudici titolati, di circa 960 giorni per il primo grado e 1509 per l’appello, ed è improbabile che la situazione sia migliorata negli ultimi quattro anni.
Il carico di ruolo risulta, dunque, eccessivo ed il Governo Letta, specializzato in tagli di ogni genere, si è reso conto della necessità di smaltire nel più breve tempo possibile il lavoro di Giudici e Cancellerie, atteso l’enorme costo dell’intero sistema giudiziario del Paese.
L’art. 185 bis del Codice di Procedura Civile in vigore dal 22/06/2013, cambia sostanzialmente le modalità di svolgimento della prima udienza civile: quella in cui compaiono le parti e, più in generale, della fase istruttoria. In seno a tale fase, infatti, il Giudice ha l’obbligo di formulare una proposta transattiva con la quale le parti hanno l’opportunità di accordarsi sulla definizione prematura della controversia.
Una mezza novità
Il Decreto del Fare ha semplicemente reintrodotto un obbligo già esistente fino al 2005, e previsto dall’art. 183 c.p.c., quello cioè che indica le modalità in cui viene svolta l’udienza di comparizione delle parti. Tale obbligo è stato abolito con la riforma del 2005, entrata in vigore l’anno successivo. Da quel momento in poi questa poteva essere fatta solo ed esclusivamente su richiesta delle parti e veniva relegata ad una apposita udienza fissata dal Giudice.
Con le modifiche apportate dal Governo Letta, la proposta conciliativa deve essere formulata dal Giudice alla prima udienza, o comunque finché non si sia conclusa la fase istruttoria. La possibilità per il Giudice Istruttore di formulare la proposta in qualunque udienza in fase istruttoria rende differente tale potere/dovere per il Giudice Civile rispetto a quello che detiene il Giudice del Lavoro. Nel rito del lavoro, infatti, il Giudice può formularla solo ed esclusivamente alla prima udienza, ai sensi dell’art. 420 c.p.c.
Un parere poco obiettivo
Un’altra peculiarità da rilevare è che nelle controversie civili il Giudice formula la proposta ai difensori delle parti poiché queste non sono obbligate a comparire personalmente (a differenza dei giudizi avanti il Giudice del Lavoro, in cui la proposta transattiva va formulata direttamente alle parti che hanno l’obbligo di comparire personalmente). I difensori hanno così l’obbligo di riferire alle parti che li hanno nominati la proposta conciliativa formulata dal Giudice e qui si apre la prima falla.
Una proposta formulata da un terzo, preclude alla parte che si trova a doverla valutare, la possibilità di cogliere una serie di sfumature ed orientamenti che sicuramente traspaiono dall’invito proveniente direttamente dal Giudice. Per quanto queste vengano riportate al proprio cliente dal difensore con intento di imparzialità, è tuttavia inevitabile che queste risentano del giudizio e dell’interpretazione personale dello stesso. Si consideri inoltre che, a causa dell’eccessivo carico di lavoro, il difensore spesso delega altri colleghi a comparire in udienza in sua vece ed in questo caso, la proposta potrebbe subire ulteriori filtri ed interpretazioni che di principio, potrebbe risultare falsata nell’intento originale.
Il Rifiuto senza Giustificato Motivo
Il rifiuto senza giustificato motivo di una delle parti condurrà il Giudice a valutare la scelta ai fini del giudizio. Da qui la sua importanza. Va sottolineato che il rifiuto della proposta non comporta alcuna sanzione.
Ma sulla base di quali principi il Giudice formula la sua proposta conciliativa?
Questa si fonda su ciò che emerge dall’istruzione probatoria e su un principio di rinunce di entrambe le parti, non andando a favore né dell’una né dell’altra.
Il giudice, in qualità di promotore, dovrà sviluppare una particolare sensibilità nel cogliere la possibilità di conciliazione sin dalla prima udienza ma, a ben vedere, può accadere, ancor più di frequente, che procedendo nella fase istruttoria, dopo aver raccolto ed acquisito nuovi elementi probatori, potrà giungere ad una proposta conciliativa migliore e più favorevole per entrambe le parti.
Laddove le parti aderiscano alla proposta formulata dal Giudice, questi fissa una nuova udienza, entro il termine di quattro mesi.
Conclusioni
Considerando lo scarso successo della mediazione obbligatoria introdotta negli anni precedenti e subito rettificata, l’introduzione del presente articolo non è garanzia di un buon risultato.
La reintroduzione della conciliazione avrebbe dovuto accompagnarsi anche ad un percorso di formazione per magistrati e avvocati, cosa che non è avvenuta: i primi con lo scopo di potenziare le capacità conciliative, i secondi con quello di migliorare le capacità di valutazione di proposte transattive.
La speranza resta quella di un miglioramento del sistema giudiziario e di una riduzione delle lungaggini nei giudizi pendenti.
Buongiorno,
gradirei avere conferma circa l’obbligatorietà (e non la facoltà) del giudice del lavoro di formulare alle parti una proposta conciliativa nel corso della prima udienza del processo.
E se il giudice non si attiene a tale procedura e lascia che siano le parti ad esperire il suddetto tentativo?
Grazie.