L’articolo 628 del codice penale
Atteso che si tratta di un delitto previsto e punito dall’articolo 628 c.p., in realtà è necessario distinguere tra quella propria e impropria alla luce dello scopo perseguito con la condotta violenta dell’agente.
Più precisamente, il delitto di rapina impropria, a sensi dell’art. 628, comma 2, c.p., è integrato da
“chiunque adopera violenza o minaccia immediatamente dopo la sottrazione (della cosa), per assicurare a sé o ad altri il possesso della cosa sottratta, o per procurare a sé o ad altri l’impunità”.
Dunque, attraverso la positivizzazione all’interno del codice penale dei delitti di rapina, sembrerebbe emergere l’intentio legis di voler sanzionare in modo rigoroso gli autori dei reati contro il patrimonio che ricorrano alla violenza o alla minaccia.
La rapina propria e impropria secondo la casistica giurisprudenziale giurisprudenziale
La Suprema Corte di cassazione, con la sentenza n. 26596 del 29 maggio 2019 ha differenziato la tipologia delittuosa della rapina propria – di cui al primo comma dell’articolo 628 c.p. – da quella impropria, ricollegandosi al momento consumativo del reato.
Invero, mentre nel primo caso ai fini della consumazione del reato (analogamente a quanto avviene per il delitto di furto) è indispensabile che si concretizzi l’azione dell’impossessamento di una cosa mobile altrui, per poter configurare il diverso delitto di rapina impropria basta che si perfezioni esclusivamente l’azione della “sottrazione”, giacché, in tale ipotesi, impossessarsi della res rappresenta l’oggetto dell’elemento soggettivo del dolo specifico previsto dalla norma di parte speciale alternativamente all’intenzione di “assicurare a sé o ad altri l’impunità”, e non l’evento esclusivo che rileva ai fini della consumazione del reato.
La condotta violenta nel delitto di rapina
Secondo l’orientamento giurisprudenziale dominante, per poter integrare il requisito della violenza sarebbe sufficiente porre in essere un’azione volta ad esplicare una forza fisica capace di generare uno stato di coazione personale in un altro soggetto, e ciò indipendentemente dal grado di intensità esercitato nell’azione.
Al riguardo, non è neppure necessario, quindi, l’esercizio di una violenza di intensità tale da cagionare lesioni, essendo appunto sufficiente l’esercizio di quel minimo di energia fisica idonea a produrre una coazione personale e a vincere l’azione del soggetto passivo o di altri tendente a recuperare la refurtiva o a impedire la fuga dell’autore della sottrazione (cfr. Cass. Pen., 5 febbraio 2010, n. 18551).
Il tentativo di rapina
I giudici delle Sezioni Unite della Corte di cassazione, intervenendo sul diverso profilo del tentativo correlato al delitto di rapina, con la sentenza 12 settembre 2012, n. 34952, si sono chiesti se configuri tentativo di rapina impropria ovvero concorso tra il tentativo di furto con un reato di violenza o minaccia la condotta di chi, dopo aver compiuto atti idonei diretti all’impossessamento della cosa altrui, che non siano giunti a perfezionamento per ragioni autonome dal suo proposito, si avvalga della violenza o minaccia verso chiunque cerchi di intralciarlo, per potersi assicurare l’impunità.
Infatti, in merito alla suddetta questione l’orientamento ampiamente maggioritario della Cassazione ha da sempre sostenuto la configurabilità del tentativo di rapina impropria nel caso in cui l’agente, dopo aver compiuto atti idonei diretti all’impossessamento della res altrui – non portati a compimento per cause indipendenti dalla propria volontà – adoperi violenza o minaccia per assicurarsi l’impunità.
Avv. Iacopo Correa