Un tema complesso
Da sempre si è sostenuto in dottrina che l’obbligazione del medico costituisca un obbligazione c.d. di mezzi, sulla scorta della valutazione dell’inevitabile aleatorietà che connota tale attività, obbligando dunque il medico solo ad essere diligente, ma non assicurando alcun risultato.
Prima della sentenza delle Sezioni Unite n. 13533/2001, però, era stata avanzata anche un’altra tesi che operava una distinzione a seconda della tipologia di intervento terapeutico: se si trattava di intervento di routine, che comportava una guarigione sostanzialmente sicura, si doveva ritenere garantito il risultato, se invece si trattava di un intervento non routinario, caratterizzato da una maggiore “alea terapeutica”, sussisteva soltanto una obbligazione di mezzi.
L’obbligazione professionale medica: su chi ricade l’onere di dimostrare il danno cagionato?
Nel primo caso, per il principio res ipsa loquitur, il paziente (soggetto creditore) aveva esclusivamente l’onere di provare la routinarietà dell’intervento ed il mancato raggiungimento del risultato, limitandosi ad allegare puramente e semplicemente l’inadempimento, mentre al medico spettava provare l’adempimento diligente dell’obbligazione e che il mancato raggiungimento del risultato dipendeva da cause impreviste ed imprevedibili.
Nel caso di interventi complessi, invece, si riteneva che il medico dovesse soltanto provare la complessità dell’intervento stesso, mentre al paziente spettava dimostrare l’inadempimento del medico.
Questa differenziazione nel riparto dell’onere probatorio non è però sopravvissuta alla sentenza delle Sezioni Unite del 2001, più volte ripreso dalle successive pronunce della giurisprudenza di legittimità che (cfr. Corte di cassazione, 20 gennaio 2015, n. 826), facendo sì che nell’ambito delle obbligazioni mediche professionali, si giungesse alla conclusione che il paziente possa limitarsi ad allegare l’inadempimento, senza provarlo, e che conseguentemente incomba sul medico la prova di avere esattamente realizzato la prestazione e quindi di avere osservato diligentemente l’obligo di prestazione terapeutica.
Il grado della colpa nell’esercizio della professione medica
La distinzione tra interventi routinari e complessi continua, a questo punto, ad avere rilevanza solo ai fini della valutazione del grado di diligenza richiesta e del corrispondente grado di colpa.
Come chiarito dalla Cassazione, la diligenza richiesta al medico è quella ordinaria del buon professionista, ovvero una diligenza particolarmente qualificata. Trova infatti applicazione il combinato disposto degli articoli 1176, comma 2, e 2236 c.c.: ciò vuol dire che maggiore è la specializzazione del medico più alto è il grado di diligenza richiesto. Si deve tenere conto anche della struttura nella quale il medico opera, per cui il medico che operi all’interno di una struttura specializzata e ben strutturata deve essere quindi giudicato con maggiore rigore di chi operi in un presidio di pronto intervento.
L’inadempimento che configura la responsabilità medica
L’inadempimento rilevante nell’ambito dell’azione di responsabilità per risarcimento del danno nei rapporti obbligatori non è qualunque inadempimento, ma solo quello astrattamente efficiente alla produzione del danno.
A ben vedere, l’interesse che muove il creditore, quando stipula un contratto con il professionista, non è l’interesse alla diligenza, ma è l’interesse all’esito e quindi non si può ritenere che sia estraneo all’oggetto dell’obbligazione il bene al quale ambisce il creditore, bene che ha una rilevanza centrale nell’architettura strutturale del rapporto obbligatorio.
Quindi, così come nelle obbligazioni di risultato ha rilevanza anche il comportamento diligente, allo stesso modo anche in quelle di mezzi è sempre rilevante il risultato. L’inadempimento rappresenterà non solo la mancata diligenza, ma anche il mancato raggiungimento del risultato in questione.
Cioè, in altri termini, l’inadempimento non si perfeziona solo perché il medico è negligente, ma perché il medico è negligente in modo tale da procurare l’esito sanitario sfavorevole.
Avv. Iacopo Correa