Quando la procedura va annullata?
È illegittimo quel bando (ed i correlativi atti presupposti), relativo ad un concorso pubblico, che difetti di uno specifico riferimento alle funzioni che i vincitori della procedura saranno chiamati a svolgere a seguito della loro assunzione nel profilo professionale di riferimento.
Per tale ragione gli atti dovranno essere annullati con conseguente doverosa ammissione dei partecipanti.
Difatti, la tipica discrezionalità tecnica di cui gode la pubblica Amministrazione anche in tali casi, non può sconfinare nella indebita richiesta di aver ottenuto uno specifico voto di laurea ai fini dell’accesso ad una procedura concorsuale volta a favorire l’assunzione di un profilo non dotato di particolari requisiti di professionalità.
Sussiste dunque un limite invalicabile nella esigenza di motivare la ragionevolezza di uno sbarramento preselettivo con una adeguata giustificazione che possa consentire una deroga alle norme generali che regolano il settore.
La normativa di riferimento per limitare l’ingresso nelle procedure concorsuali.
Il regolamento disciplinato dal decreto del Presidente della Repubblica 9 maggio 1994, n. 487, recante “norme sull’accesso agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni e le modalità di svolgimento dei concorsi, dei concorsi unici e delle altre forme di assunzione nei pubblici impieghi”, stabilisce all’articolo 2 (“Requisiti generali”), comma secondo, che le Amministrazioni pubbliche possono disporre singole discipline specifiche per disciplinare l’ammissione a particolari profili professionali di qualifica e/o categoria, prescrivendo requisiti più stringenti.
La norma positivizza al comma sesto il requisito di accesso a profili professionali di ottava qualifica funzionale, richiedendo esclusivamente il diploma di laurea.
Altra norma rilevante nella materia è costituita dall’art. 70, comma 13, del decreto legislativo n. 165 del 2001 (c.d. Testo unico sul pubblico impiego), che consente la regolazione di tale disciplina coerentemente con i principi “previsti, nell’ambito dei rispettivi ordinamenti (n.d.r. delle singole amministrazioni)”.
Ne consegue che prevedere ex ante un blocco alla partecipazione dei concorsi pubblici, fissando un voto minimo di laurea, non può che ledere i principi posti alla base delle norme sopracitate.
Ciò trova avallo anche nella interpretazione corrente fornita dalla giurisprudenza amministrativa, a tenore della quale, richiedere il possesso del titolo di laurea con un voto minimo – essendo cosa ben diversa dal possesso del medesimo titolo sic et simpliciter – non può che comportare un illegittimo requisito ulteriore e stringente, che si aggiunge al requisito legale di carattere generale (cfr. ex multis, T.A.R. Lazio, sentenze n. 1491/2015 e n. 1493/2015).
Deroga alla previsione normativa: quando è consentito farlo?
Come detto, per dare supporto ad una possibile deroga al principio generale di cui al richiamato articolo 2, comma 6, del d.P.R. n. 487 del 1994, senza introdurre tuttavia un illegittimo indice selettivo degli aspiranti concorrenti, è possibile richiedere una idonea ed adeguata preparazione culturale degli stessi, con l’obiettivo fondamentale di escludere coloro che abbiano ottenuto risultati meno brillanti nel corso degli studi universitari; in tale ipotesi, tuttavia, il parametro del voto d laurea potrebbe non costituire un indice affidabile per saggiare l’effettiva competenza degli esaminandi, dipendendo esso da un numero troppo eterogeneo di variabili (ad esempio, la tipologia di percorso sostenuto, la facoltà e/o l’Università prescelta, ecc.).
In sostanza, sono due le questioni sottese alla possibile deroga del voto minimo di laurea.
Una prima concerne la discrezionalità delle p.A. nell’individuare a priori i titoli richiesti per la partecipazione al concorso.
Orbene, la scelta discrezionale si palesa tendenzialmente ampia se si considera la facoltà per le singole amministrazioni di introdurre requisiti ultronei rispetto a quelli previsti dalla legge (cfr. Cons. St., Sez. V, 18 ottobre 2012, n. 5351).
In tal modo, in tale fase – anteposta alla selezione vera e propria – non rileverebbe il noto principio del favor partecipationis, che opererebbe al contrario, in un’ottica di bilanciamento tra contrapposti interessi nell’ambito della lex specialis della procedura concorsuale, solo successivamente alla determinazione dei requisiti di accesso dei candidati.
La p.A. può dunque bloccare l’ingresso dei partecipanti, richiedendo un voto minimo di laurea, in ragione delle peculiarità che connotano il concorso stesso, in vista dei posti pubblici da assegnare e delle future cariche da andare a ricoprire.
Il tutto nel rispetto dei principi costituzionali di imparzialità e di buon andamento della azione amministrativa di cui all’articolo 97 Cost., modello di riferimento per l’organizzazione dell’amministrazione nella definizione di una gestione ottimale dei concorsi pubblici.
I limiti alla deroga
Una seconda problematica – immediatamente successiva – si riferisce alla esigenza di analizzare la specificità delle clausole del bando concorsuale secondo un criterio che tenga conto della sua natura amministrativa di carattere generale, rapportandola alla specificità del concorso di riferimento: vanno necessariamente salvaguardate le esigenze di tutela della più ampia partecipazione al concorso.
Allorquando l’Amministrazione abbia individuato determinati titoli quali requisiti di accesso precostituenti una idonea base di partenza della procedura di selezione, tale operazione viene logicamente svolta in linea generale, prescindendo dalle singolarità presumibili.
Ciò è valevole per qualunque condizione di accesso, anche a prescindere dal possesso di uno preciso titolo di studio; si potrebbe ipotizzare un aspirante non laureato ma in possesso di specifici requisiti, acquisiti autonomamente in base a proprie attitudini.
In ogni caso, le p.A. non difettano nel richiedere il possesso di un titolo accademico tra i requisiti di carattere generale.
Tuttavia la deroga – se prevista – opera in applicazione solo di limiti circoscritti nei quali è immaginata alla base, con un onere motivazionale maggiormente rigoroso da parte della Amministrazione; di guisa che la peculiarità del profilo professionale dalla stessa richiesto dovrà essere necessariamente definita nel senso da limitare irragionevolmente la possibile platea degli aspiranti concorrenti (cfr. T.A.R. Lazio Roma, sez. III, sent., 15 febbraio 2019, n. 2112).
Avv. Iacopo Correa