Aspetti salienti e principali orientamenti
Il mandato è il contratto col quale una parte (cd. mandatario) si obbliga a compiere uno o più atti giuridici per conto dell’altra (cd. mandante). Art. 1703 c.c.
In particolare, l’art. 1705 c.c. prevede, al primo comma, che:
il mandatario che agisce in proprio nome acquista i diritti e assume gli obblighi derivanti dagli atti compiuti con i terzi, anche se questi hanno avuto conoscenza del mandato.
Quindi, anche se i terzi fossero a conoscenza del mandato, sarebbe comunque solo il mandatario ad acquistare i diritti e ad assumere gli obblighi derivanti dal negozio, obbligandosi direttamente con la persona con cui ha trattato come se avesse concluso un proprio affare.
Ovviamente, è fatto salvo l’obbligo per il mandatario di trasmettere al mandante i risultati di tale attività negoziale compiuta secondo quanto stabilito dal mandato stesso.
I rapporti mandante-mandatario e mandatario-terzo sono autonomi ed indipendenti solo in linea di principio, dato che il secondo comma dell’art. 1705 c.c., pur ribadendo che:
i terzi non hanno alcun rapporto col mandante, tuttavia prevede che il mandante, sostituendosi al mandatario, può esercitare i diritti di credito derivanti dall’esecuzione del mandato (salvo che ciò possa pregiudicare i diritti attribuiti al mandatario).
Il subingresso nel credito
Il comma 2 dell’art. 1705 del codice civile concerne il subingresso nel credito (e non genericamente nei rapporti giuridici) e non elimina la distinzione tra la posizione del mandante e del mandatario.
Ne consegue, da un lato, che, senza tale sostituzione per la tutela di singoli diritti di credito, il mandante non può pretendere che il terzo lo riconosca soggetto interessato al buon fine contrattuale, giacché, in sede di conclusione e di esecuzione del contratto, l’interesse del mandante non viene in considerazione, né il terzo contraente deve tenerne conto in relazione ai suoi doveri di correttezza e di buona fede.
Dall’altro, neppure il mandatario può esigere che la controparte tenga conto dell’interesse del mandante, sicché, in caso di inadempimento da parte del terzo contraente, costui non è tenuto ad addossarsi le conseguenze della lesione dell’interesse del mandante prodotta dall’inadempimento, altrimenti si darebbe rilievo all’interesse del mandante, snaturando l’essenza del mandato senza rappresentanza.
Il rapporto tra comproprietari nel contratto di locazione
Di notevole interesse è risultata la questione rimessa all’attenzione delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione che si sono pronunciate con la sentenza del 4 luglio 2012, n. 11135.
Quest’ultima – visto le due contrapposte soluzioni assunte in primo e secondo grado si fondavano su orientamenti distinti di legittimità – è stata, infatti, chiamata a pronunciarsi sulla questione della qualificazione giuridica del rapporto tra i comproprietari nel caso di locazione stipulata da uno solo di essi con riferimento alla produzione (o esclusione) degli effetti del contratto in capo al comproprietario non locatore.
I giudici di legittimità, prima di entrare nel merito del problema, ricordano innanzitutto che il contratto di locazione dell’intero bene comune è valido ed efficace anche se è stato stipulato dal singolo comproprietario all’insaputa degli altri. È sufficiente, infatti, che il suddetto comproprietario abbia la disponibilità del bene comune e sia in grado di adempiere la fondamentale obbligazione del locatore, cioè quella di consentire il godimento del bene al conduttore.
Ciò detto, le Sezioni Unite passano in rassegna i tre distinti orientamenti giurisprudenziali formatisi in merito alla questione in esame.
I giudici di legittimità criticano l’orientamento (minoritario) che ritiene applicabile la norma di cui all’articolo 1705 del codice civile alla comunione per giustificare l’esercizio, da parte dei comproprietari esclusi dall’atto di disposizione sul bene comune, dei diritti e delle azioni derivanti dall’atto stesso.
In particolare, si rileva che, mentre il mandante ha (ai sensi dell’articolo 1705 c.c.) il potere di sostituirsi al mandatario limitatamente al solo esercizio dei diritti di credito sostanziali derivanti dal contratto, il comunista ha un ben più ampio potere di coamministrazione del bene comune derivante direttamente dalla titolarità del diritto reale sul bene stesso.
Di conseguenza, le forti limitazioni che – a partire dalla sentenza delle Sezioni Unite n. 24772 del 2008 – caratterizzano il potere di sostituzione del mandante al mandatario nella fattispecie del mandato senza rappresentanza mal si adattano alla posizione del comunista.
Le gestione d’affari
Nell’ipotesi del contratto di locazione del bene comune stipulato da uno solo dei comproprietari è senz’altro possibile ravvisare tutti gli elementi della gestione d’affari: si tratta di quelli che vengono tradizionalmente qualificati come l’animus aliena negotia gerendi, l’utilità della gestione, l’absentia domini e l’esistenza dell’interesse altrui.
Con riferimento al primo requisito è oramai pacifico nella giurisprudenza di legittimità che, nella gestione d’affari, l’animus aliena negotia gerendi, cioè il proposito di agire per conto e vantaggio di altri, non deve necessariamente risultare da dichiarazione espressa del dominus negotii, ma può risultare anche dalle circostanze di fatto; quanto poi al requisito dell’utilità della gestione, è sufficiente che la gestione sia utilmente intrapresa, e cioè sia stata spiegata un’attività che lo stesso dominus avrebbe esercitato agendo da buon padre di famiglia se avesse dovuto provvedere efficacemente da sé alla gestione dell’affare.
Avv. Iacopo Correa