NON SI PLACANO PERO’ LE CRITICHE
Dopo lunghe e infruttuose discussioni, presunti passi indietro e dure critiche, il decreto legge 28 gennaio 2019, n. 4 sul reddito di cittadinanza (“disposizioni urgenti in materia di reddito di cittadinanza”) è finalmente realtà.
L’atto normativo in analisi si occupa del Rdc nel Titolo I – dividendo così lo spazio con la riforma delle pensioni – e sarà operativo a partire da aprile 2019.
Nell’articolo verranno esposti i punti principali e le critiche rivolte a una normativa complessa e colma di stringenti requisiti, nonché l’annosa questione dei “furbetti del Reddito di Cittadinanza”.
“RATIO” DEL REDDITO DI CITTADINANZA
I proponenti, con tale provvedimento, intendono porre rimedio ad alcune importanti problematiche sociali come:
- il “contrasto alla povertà, alla disuguaglianza e all’esclusione sociale”, garantendo così “una misura utile ad assicurare un livello minimo di sussistenza, incentivando la crescita personale e sociale dell’individuo“;
- garantire il diritto al lavoro di soggetti a rischio di emarginazione nella società e nel mondo del lavoro;
I BENEFICIARI DEL RDC
L’articolo 2 del DL sul Rdc (“Beneficiari”) individua le categorie di soggetti che possono usufruire del sostegno economico previsto dal decreto 4/2019, precisando che i nuclei familiari beneficiari debbano possedere – cumulativamente – al momento della domanda e per tutto il periodo di erogazione del sussidio, una serie di requisiti:
Con riferimento al requisito della cittadinanza, della residenza e del soggiorno:
- Il richiedente deve essere in possesso di cittadinanza italiana o europea, oppure suo familiare titolare del diritto di soggiorno o del diritto di soggiorno permanente, o cittadino di paesi terzi in possesso del permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo;
- Il richiedente deve residente in Italia per almeno 10 anni. In particolare gli ultimi due, considerati al momento della presentazione della domanda e per tutta la durata dell’erogazione del beneficio, devono sussistere continuativamente;
Per quanto riguarda invece i più rilevanti requisiti reddituali e patrimoniali, il nucleo familiare interessato deve possedere:
- ISEE inferiore a 9.360 euro;
- Un valore del patrimonio immobiliare – a fini ISEE – diverso dalla casa di abitazione, non superiore a 30.000 euro;
- Un valore del patrimonio mobiliare – a fini ISEE – non superiore a 6.000 euro, accresciuta di euro 2.000 per ogni componente del nucleo familiare successivo al primo, fino ad un massimo di euro 10.000, incrementato di ulteriori euro 1.000 per ogni figlio successivo al secondo.
ENTITÀ DEL BENEFICIO E PATTO PER IL LAVORO
L’entità del beneficio (articolo 3: “beneficio economico”) non può superare la soglia annuale di 9.360 euro – circa 780 euro al mese – e non può scendere sotto i 480 euro, decorrendo dal mese successivo alla richiesta.
L’erogazione del sussidio, dunque, è garantita per tutto il periodo durante il quale il beneficiario si trovi nelle condizioni previste dal decreto, per un periodo continuativo non superiore però a 18 mesi.
Ai fini dell’erogazione del beneficio, è inoltre necessaria:
- La dichiarazione di immediata disponibilità al lavoro, da parte dei componenti il nucleo familiare maggiorenni;
- L’adesione a un percorso personalizzato di accompagnamento all’inserimento lavorativo e all’inclusione sociale che prevede, tra l’altro, attività al servizio della comunità, di riqualificazione professionale.
Il sussidio economico verrà erogato (articolo 5 del DL 4/2019) attraverso la Carta Rdc, che permetterà di effettuare prelievi di contante entro un limite mensile non superiore ad euro 100,00 a persona.
OBIEZIONI AL REDDITO DI CITTADINANZA: OBBLIGO DI SPESA E SFORZO ECCESSIVO DEI CENTRI PER L’IMPIEGO
La pioggia di critiche che si è abbattuta – e si abbatte ancora – sul decreto-legge 4/2019 si basa su una serie di assunti e rischi, di cui andiamo a riassumere quelli più rilevanti.
Una delle principali sollevazioni riguarda la connessione del beneficio con la spinta alla ricerca di un impiego, in quanto i famosi 780 euro potrebbero portare il beneficiario a procrastinare la propria situazione di indigenza, resa infatti agevole da un guadagno sicuro e non trascurabile.
Al contempo, il decreto richiederebbe uno sforzo eccessivo a carico dei Centri per l’Impiego, che sarebbero costantemente impegnati a garantire ai beneficiari del Reddito di Cittadinanza almeno tre offerte di lavoro nell’arco dei 18 mesi di erogazione del beneficio.
Anche il limite relativo agli obblighi di spesa genera parecchi attriti, dal momento che non sarebbe possibile conservare parte del beneficio per i mesi successivi all’erogazione, trascurando così l’eventualità di sostenere spese di una certo peso.
Inoltre si teme che le misure del decreto non riescano a sopperire alle esigenze di superamento delle condizioni di povertà, in quanto le risorse stanziate per il progetto di Reddito di Cittadinanza sono ovviamente limitate; se le domande superassero tale soglia, dunque, il sussidio verrebbe ricalcolato e ridotto per poter essere esteso a tutti i beneficiari in regola.
I FURBETTI DEL REDDITO DI CITTADINANZA
Ma una delle obiezioni più diffuse riguarda la questione dei c.d. “furbetti del reddito di cittadinanza”, con annessa previsione di diversi e probabili scenari in cui le disposizioni normative possano essere disattese con espedienti illegali.
Il primo stratagemma che sovviene è sicuramente quello del lavoro in nero, il cui profitto – peraltro non rintracciabile- sommato ai 780 euro mensili garantiti dal DL 4/2019, garantirebbe al beneficiario un’entrata affatto modesta.
Poi, per ovviare al limite di 9360 euro, molti coniugi potrebbero essere indotti al divorzio e al cambio di residenza; quest’ultimo punto assume una certa rilevanza, in quanto rimanere nella medesima abitazione, anche se legalmente separati, porterebbe gli ex coniugi a procrastinare lo stesso nucleo familiare. Il tutto sarebbe aggravato dalla difficoltà di rintracciare ogni singolo cambio di residenza.
E secondo i più accesi oppositori, per ovviare agli inganni dei “divanisti” non basterebbero nemmeno i rimedi approntati dal DL (articolo 7: “cause di decadenza e sanzioni”), che prevedono anche la reclusione dai 2 ai 6 anni in caso di false dichiarazioni (per esempio nella presentazione dell’ISEE).
Conclusioni
Molta carne al fuoco, molti dubbi sul futuro di una misura che divide l’opinione pubblica. Saranno quindi decisivi i primi mesi di applicazione – dove si teme l’intasamento dei Centri per l’Impiego dai richiedenti il beneficio – per appurare se questo progetto contro la povertà avrà successo o meno.