Caratteristiche, elementi, giurisprudenza
Integra il reato di peculato la condotta distrattiva del denaro o di altri beni che realizzi la sottrazione degli stessi alla destinazione pubblica e l’utilizzo per il soddisfacimento di interessi privatistici dell’agente.
Il peculato è il delitto previsto e disciplinato dall’articolo 314 del codice penale e si configura quando un pubblico ufficiale o un incaricato di un pubblico servizio, avendo per ragione del proprio ufficio o servizio il possesso o comunque la disponibilità di denaro o altra cosa mobile altrui, se ne appropria.
La pena è diminuita quando il colpevole ha agito al solo scopo di fare un uso momentaneo della cosa e l’ha poi immediatamente restituita (cosiddetto peculato d’uso).
Gli elementi identificativi della fattispecie
L’elemento soggettivo è il dolo generico per la prima ipotesi e il dolo specifico per la seconda. In entrambi i casi il reato è istantaneo e si consuma quando l’agente inizia a comportarsi, nei confronti della cosa o del denaro, come se ne fosse il proprietario, a prescindere dal verificarsi di un danno diretto e concreto per l’amministrazione pubblica.
La formulazione attuale dell’art. 314 non esige più che il denaro o la cosa mobile appartengano alla p.A., ma soltanto che siano nella disponibilità del soggetto attivo.
Con particolare riferimento ai profili soggettivi della fattispecie de qua, la sesta sezione della Corte di Cassazione, giusta pronuncia n. 44667 dello scorso 8 ottobre 2019 ha sancito che ai fini della configurazione del reato di peculato, i soggetti inseriti nella struttura organizzativa e lavorativa di un ente di diritto privato possono essere considerati pubblici ufficiali o incaricati di pubblico servizio, allorquando la ragione d’essere dell’ente risieda nel generale perseguimento di finalità connesse a servizi di interesse pubblico, a nulla rilevando che dette finalità siano realizzate con meri strumenti privatistici.
Quando si configura il reato di peculato? Casistica giurisprudenziale
In tema di peculato un orientamento giurisprudenziale ha affermato ad esempio che risponde del reato di peculato e falso ideologico l’ispettore di polizia municipale che utilizza i buoni benzina, posseduti per ragioni d’ufficio, per rifornire il carburante della propria autovettura, redigendo successivamente una relazione falsa (cfr. Cass., 30 luglio 2013, n. 33130).
La giurisprudenza di legittimità ha più volte previsto in caso di appropriazione di materiale atto a realizzare falsificazioni (materiale cartaceo, stampante, sigillo), che non è configurabile il delitto di peculato in assenza o estrema esiguità del valore della cosa oggetto di appropriazione (Sez. 6, Sentenza n. 10543 del 07/06/2000), così come pure è stato escluso il reato di peculato di cui all’art. 314 c.p. nella condotta del pubblico ufficiale il quale utilizzi beni appartenenti alla p.A. privi in sé di rilevanza economica e quindi inidonei a costituire l’oggetto materiale dell’appropriazione. Analogo indirizzo è ribadito in caso di saltuaria utilizzazione di telefono e fotocopiatrice dell’ufficio per ragioni private (Sez. 6, Sentenza n. 5010 del 18/01/2012).
Differenza tra delitto di peculato e truffa aggravata
Altra distinzione rilevante è quella tra il delitto di peculato e la distinta fattispecie di truffa aggravata, poiché mentre nel peculato il possesso del bene trova origine nella ragione di ufficio e preesiste all’illecita conversione in profitto dell’agente, nella truffa l’acquisto del possesso consegue all’azione del colpevole, consistente nell’induzione in errore mediante artifici o raggiri.
In tal modo è possibile affermare che quando gli artifici vengano posti in essere non per conseguire il possesso della res, ma per occultarne l’illecito impossessamento, ovvero per assicurarsi l’impunità, sussiste il delitto di peculato e non quello di truffa aggravata.
Il delitto di peculato c.d. d’uso
Diversa è l’ipotesi positivizzata dal secondo comma dell’articolo 314 c.p., comma 2, la quale è caratterizzata – sotto il profilo oggettivo – dall’utilizzo esclusivamente momentaneo e dalla immediata restituzione del bene e – sotto quello soggettivo – dal correlativo contenuto intenzionale.
Difatti, si è sostenuto ad esempio che l’utilizzo di un auto di servizio per fini privati integra il reato di peculato e non quello di peculato d’uso, in quanto tale condotta è vietata in assoluto, dovendosi presumere l’esclusiva destinazione del bene a uso pubblico in assenza di provvedimenti che consentano puntuali e documentate deroghe a tale impiego (cfr. Cass. Pen. Sez. 6, 21 maggio 2019 n. 26330).
Con riferimento specifico al peculato d’uso si è registrata qualche anno addietro un importate pronuncia delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione (2 maggio 2013, n. 19054) che ha affrontato la questione concernente l’uso da parte del pubblico agente del telefono d’ufficio per fini personali, approdando ad una soluzione diversa rispetto a quella sostenuta negli ultimi anni dalla giurisprudenza maggioritaria.
Sull’argomento, infatti, erano emersi col tempo vari orientamenti.
La giurisprudenza di legittimità più recente e assolutamente prevalente ravvisa, al contrario, nella condotta descritta un’ipotesi di peculato ordinario (art. 314, co. 1, c.p.). Tale impostazione si fonda sulla considerazione che oggetto materiale dell’appropriazione sarebbe non l’apparecchio telefonico in quanto tale, ma l’energia necessaria per l’effettuazione delle chiamate, la quale, presentando un indubbio valore economico, è equiparabile ad una cosa mobile in virtù dell’art. 624, co. 2, c.p. L’oggetto materiale così ricostruito non sarebbe suscettibile di restituzione, con la conseguenza che la condotta appropriativa dello stesso presenterebbe un carattere necessariamente definitivo (potendo l’eventuale rimborso delle somme corrispondenti all’importo delle telefonate rilevare al più come ristoro del danno cagionato).
Le Sezioni Unite non hanno avallato quest’ultima impostazione poiché erroneamente individua l’oggetto materiale del reato nelle onde elettromagnetiche che permettono la trasmissione della voce.
Né il ravvisare l’oggetto materiale della condotta appropriativa nelle somme di denaro pagate dalla Amministrazione in seguito all’uso indebito del telefono porterebbe a diverse conclusioni.
Una simile ricostruzione presenterebbe, in primo luogo, il limite di essere riferibile solo alle situazioni in cui sono presenti “tariffe a consumo” e non anche “tariffe cd. tutto incluso”. In secondo luogo, mancherebbe il presupposto fondativo della condotta, ovvero il previo possesso delle somme suddette da parte del pubblico agente, né quest’ultimo avrebbe il potere giuridico di disporne.
Avv. Iacopo Correa