I fattorini 2.0 e la gig economy
Il mercato del lavoro è sempre in continua evoluzione. Grazie alle innovazioni tecnologiche e alla dinamicità del mondo dell’economia sempre più spesso nascono e si sviluppano delle nuove figure di lavoratori. Si pensi alla nascita del telelavoro, alla diffusione sempre più massiccia degli acquisti conclusi on-line oppure ai freelance che hanno fatto dei social network la loro professione.
Tra le nuove figure di lavoratori va ricordata quella dei riders, fattorini 2.0 che si inseriscono nel mondo della cd. gig economy, un mercato del lavoro flessibile e dinamico, che servendosi della tecnologia si colloca oltre le tradizionali categorie di lavoro subordinato ed autonomo.
Da qualche anno sono nate in Italia una pluralità di società che offrono ai consumatori in possesso di uno smartphone dei servizi di svariata natura. Il rapporto giuridico che si configura è abbastanza complesso. Vi è una piattaforma digitale su cui numerosi negozi, società o ristoranti offrono e vendono i loro servizi. La piattaforma mette in contatto le società ed i consumatori-utenti in possesso di uno smartphone.
L’utente-consumatore accedendo alla piattaforma digitale che si presenta come un’applicazione sullo smartphone sceglie di acquistare un prodotto o un servizio (la consegna a domicilio di cibo, oggetti tecnologici, libri etc..). Una volta effettuato l’acquisto viene incaricato un cd. riders, un fattorino, legato alla società intermediaria che fornisce i servizi digitali. Il fattorino assunto mediante contratto di collaborazione, munito di bicicletta e di attrezzatura brandizzata dalla società digitale dovrà consegnare la merce acquistata dal consumatore entro il termine sancito all’interno del contratto.
Problemi giuridici
In tutta questa situazione sono nate numerose problematiche giuridico-interpretative. Il primo problema sorto è stato quello della natura giuridica del rapporto di lavoro dei riders.
Questi fattorini sono legati alla società da un contratto di lavoro di collaborazione, ma di fatto gli obblighi loro imposti all’interno del contratto sembrano proprio integrare una fattispecie di lavoro subordinato. La società che gestisce la piattaforma digitale impone loro tempi e modi di gestione dell’attività lavorativa proprio come fa un datore di lavoro e non un committente.
Conformemente a tale impostazione si è espressa recentemente la Corte di Cassazione, chiamata per la prima volta ad esprimersi su tale materia, con la sentenza del 2020 n.1663. La Suprema Corte ha ritenuto sussistente un rapporto di lavoro subordinato aggiungendo però che tale regola non è possibile che venga estesa a tutti i rapporti giuridici che vedono coinvolti i riders essendo necessaria una valutazione caso per caso.
Pertanto da adesso in poi spetterà ai giudici valutare se ed in che misura, la collaborazione conclusa nell’ambito della gig economy sia un rapporto nella sostanza di lavoro subordinato e pertanto sottoposto alla normativa del lavoro dipendente, o sia una vera e propria collaborazione coordinata e continuativa.
Riders e caporalato
La vicenda dei riders ha creato problemi anche di natura penalistica. La procura di Milano nell’agosto del 2019 ha avviato un’indagine ritenendo di poter ravvisare nell’ambito della gig economy delle ipotesi di caporalato, di sfruttamento del lavoro clandestino.
Il caporalato è disciplinato dall’art. 603 bis c.p. rubricato: ”Intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro” e si conconfigura quando taluno :
”recluta manodopera al fine di destinarla al lavoro presso terzi in condizioni di sfruttamento, approfittando dello stato di bisogno dei lavoratori”
o
“ utilizza, assume o impiega manodopera, anche mediante attività di intermediazione […] sottoponendo i lavoratori a condizioni di sfruttamento ed approfittando del loro stato di bisogno”.
La pena prevista è della reclusione da uno a sei anni e della multa, per ogni lavoratore, da un minimo di 500 ad un massimo di 1000 Euro.
La procura di Milano ha avviato l’indagine a seguito di una serie di controlli su alcuni riders. Da tali accertamenti è risultata la presenza di alcuni lavoratori clandestini che andavano a consegnare la merce acquistata dai consumatori-utenti. L’indagine è ancora in corso e bisognerà attendere per conoscere effettivamente se si sia sviluppata tale forma di sfruttamento del lavoro che arriva addirittura ad integrare una fattispecie di reato.
Proposte di legge
Varie sono state le proposte di legge avanzate dai diversi partiti politici negli ultimi mesi, proprio al fine di regolamentare una fattispecie di lavoro ormai sempre più diffusa. I punti comuni alle varie proposte sono la previsione di un’assicurazione sugli infortuni sul lavoro, l’individuazione di ipotesi di responsabilità civile della piattaforma digitale in caso di danni cagionati a terzi dal riders durante l’esercizio della sua attività lavorativa, tutela al diritto alla salute e alla sicurezza. La questione più spinosa e che sta facendo molto discutere riguarda la proposta di determinazione di un minimo salariale per i riders che attualmente guadagnano a cottimo.
La situazione normativa è molto interessante e nei prossimi mesi il legislatore dovrà intervenire per disciplinare la nuova fattispecie di lavoro, innovativa ed inidonea ad essere ricondotta alle tradizionali categorie di lavoratori codificati dal nostro legislatore. Sicuramente aiuti verranno anche dalla dottrina e dalla giurisprudenza che riusciranno a sciogliere alcuni dei nodi interpretativi più complessi.
Dott.ssa Giulia Mancino