Una questione aperta
Il contenuto dell’obbligazione «(…) di garantire il compratore (…) da vizi di cosa (… )», che è inserita tra quelle “principali del venditore” (art. 1476 n. 3 c.c.), è precisato dagli articoli 1492, 1493 e 1494 del codice civile, i quali attribuiscono al compratore (salve le esclusioni stabilite dagli artt. 1490 e 1491 c.c.) sia la facoltà di «(…) domandare a sua scelta la risoluzione del contratto (oltre le restituzioni e i rimborsi conseguenti alla risoluzione) ovvero la riduzione del prezzo (… )», sia il diritto di ottenere il “risarcimento del danno” derivato dall’acquisto del bene viziato ed il risarcimento dei “danni derivati dai vizi”.
A fronte di ciò l’articolo 1495 c.c. prevede che
«(…) il compratore decade dal diritto alla garanzia, se non denunzia i vizi al venditore entro otto giorni dalla scoperta, salvo il diverso termine stabilito dalle parti o dalla legge (… )».
La prescrizione normativamente prevista per l’esercizio di tale azione decorre da un anno dalla consegna della res.
Tuttavia, il compratore, convenuto per l’esecuzione del contratto,
«(…) può sempre far valere la garanzia, purché il vizio della cosa sia stato denunziato entro otto giorni dalla scoperta e prima del decorso dell’anno dalla consegna(… )».
Analisi normativa e ratio dell’istituto di matrice civilistica
Tale disciplina pone per così dire in uno stato di soggezione il venditore, il quale si trova esposto all’iniziativa del compratore volta alla modificazione del contratto di vendita o alla sua caducazione, mediante l’esperimento rispettivamente della c.d. actio quanti minoris o della c.d. actio redibitoria.
Il venditore si potrà dunque trovare a subire tali effetti senza poter essere obbligato ad eseguire alcuna prestazione (fatta eccezione ovviamente per il dare o il solvere derivanti dai doveri di restituzione e di risarcimento).
Il compratore, invece, non ha a disposizione alcuna azione “di esatto adempimento” per ottenere dal venditore l’eliminazione dei vizi della cosa, potendo scegliere soltanto tra la riduzione del prezzo e la risoluzione del contratto. Il diritto di ottenere, in alternativa, la riparazione del bene, infatti, gli è riconosciuto soltanto in particolari ipotesi soggette a rigoroso regime di tipicità.
Ovviamente i diritti alla riduzione del prezzo ed alla risoluzione del contratto rimangono soggetti alla prescrizione annuale.
La giurisprudenza di legittimità sulla garanzia dei vizi della cosa compravenduta
Con riguardo alla garanzia per i vizi, merita di essere segnalata anche una decisione che, con riferimento a fattispecie piuttosto frequenti, ne ha precisato l’ambito di estensione.
La Suprema Corte di Cassazione, giusta pronuncia del 17 luglio 2012, n. 12265 ha chiarito che
«(…) In caso di compravendita, il venditore deve garantire la dotazione di un accesso al fondo alienato, idoneo al relativo uso civile, agricolo o industriale del bene(… )»
rappresentando la possibilità di accesso un effetto per così dire “naturale” del contratto, senza che la stessa parte venditrice possa sottrarsi dall’assicurare in concreto detta garanzia, ascrivendo l’interclusione a forza maggiore o fatto del terzo.
Quanto invece al rapporto tra vizi della cosa venduta ed onere della prova, Cass., 2 settembre 2013, n. 20110 ha ribadito che all’acquirente (creditore) sarà sufficiente allegare l’inesatto adempimento ovvero denunciare la presenza di vizi o di difetti che rendano la cosa inidonea all’uso alla quale è rivolta o che ne riducano apprezzabilmente il valore, poiché è a carico del soggetto venditore (debitore) l’onere di dimostrare, anche attraverso presunzioni, di avere consegnato una cosa che sia conforme alle caratteristiche del tipo ordinariamente prodotto ovvero la regolarità del processo di fabbricazione o di realizzazione del bene.
Anche con la sentenza del 21 maggio 2013 n. 12458, la Corte di cassazione ha sancito che l’obbligo del venditore di consegnare la res nella specifica quantità pattuita, fa parte tra le tipiche obbligazioni di risultato, e, conseguentemente, constatata la mancanza della qualità concordata, ai sensi dell’art. 1218 c.c. è suo onere fornire la prova diretta ad escludere il proprio colpevole inadempimento.
Merita poi menzione anche Cass., 2 settembre 2013, n. 20110, secondo cui
è sufficiente che il compratore alleghi l’inesatto adempimento, ovvero denunci la presenza di vizi che rendano la cosa inidonea all’uso al quale è destinata, o ne diminuiscano in modo apprezzabile il valore, mentre è a carico del venditore, tenuto ad una obbligazione di risultato ed in forza del principio della riferibilità o vicinanza della prova, l’onere di dimostrare, anche attraverso presunzioni, di aver consegnato una cosa conforme alle caratteristiche del tipo ordinariamente prodotto, o la regolarità del processo di fabbricazione o di realizzazione del bene.
La sentenza aggiunge che se questa prova venga fornita, spetterà a sua volta al compratore dimostrare l’esistenza di un vizio o di un difetto intrinseco della cosa, ascrivibile al venditore.
Avv. Iacopo Correa