La riduzione a 18 mesi, il Decreto del Fare e le novità in materia
La formazione
Ogni laureando che si appresti a discutere la propria tesi di laurea, si troverà immancabilmente ad interrogarsi su quale sarà il suo prossimo passo. Nel caso in cui la sua scelta ricada sulla carriera del libero professionista, che sia quella forense, o dottore commercialista, architetto o di qualsiasi altra figura professionale che preveda l’ammissione e la conseguente iscrizione ad un albo professionale, dovrà imbattersi con un iter piuttosto impervio che comporta la ricerca di uno studio professionale dove poter svolgere un lungo ed estenuante tirocinio e la contestuale preparazione di un solido sapere teorico – pratico per il sostenimento di un Esame di Stato che gli permetterà l’iscrizione all’Albo e l’abilitazione all’esercizio della professione.
Il tirocinio formativo o professionale è un periodo di formazione durante il quale il tirocinante frequenta con assiduità e diligenza uno studio professionale in cui ha il diritto e il dovere di acquisire tutte le competenze teoriche, pratiche e deontologiche che gli permetteranno di affrontare l’Esame di abilitazione alla professione da lui scelta accedendo al relativo Albo per l’esercizio della libera professione.
Il periodo di formazione consente al tirocinante di mettere in pratica tutte le conoscenze acquisite durante gli anni di studi universitari e di quelli conseguiti con la specializzazione e di integrarli con l’attività pratica. Il lavoro svolto dal tirocinante è sempre coadiuvato dall’aiuto di un supervisore.
Il tirocinio può essere svolto presso lo studio di un professionista iscritto all’albo da almeno cinque anni e che abbia assolto negli ultimi tre anni all’obbligo, esistente per ogni libero professionista, di formazione continua previsto dal proprio Ordine Nazionale.
La formazione professionale continua viene acquisita dal libero professionista con la partecipazione attiva a convegni, incontri e workshop, al termine dei quali viene rilasciato un attestato con l’acquisizione di un certo numero di crediti formativi. Nell’ottica di una professione sempre in continuo cambiamento, è infatti fondamentale, sia per i professionisti che per i tirocinanti, prendere parte agli incontri periodici di formazione, così da tenersi sempre aggiornati sulle novità introdotte nell’ambito delle proprie materie e professione.
Ogni professionista può accogliere nel proprio studio un massimo di due tirocinanti per volta; questo per intensificare l’istruzione del praticante seguito dal proprio tutor in ogni sua attività. Solo in alcuni casi, autorizzati dal proprio Consiglio dell’Ordine, è possibile accogliere un terzo tirocinante, ma solo se le esigenze dello studio professionale lo richiedano e quelle del praticante lo consentano.
I Consigli dell’Ordine, oltre ad autorizzare gli stage, fungono anche da organo di controllo che, per tutta la durata del praticantato, vigila sull’effettivo svolgimento del tirocinio formativo e sulle modalità con cui esso procede. Ogni tirocinante è iscritto a un Registro dei Praticanti e possiede un libretto, sul quale annota il monte orario e le attività svolte all’interno dello studio professionale. Per una maggiore verifica, il Consiglio dell’Ordine può, altresì, decidere di effettuare dei colloqui periodici anche a campione tra tutti gli stagisti.
Modalità di svolgimento
Decidere di accedere alla carriera di libero professionista comporta l’impiego di un sostanziale impegno sia in termini di formazione sia in termini di tempo. La carriera universitaria da intraprendere ha la durata di cinque anni (5 anni per le lauree magistrali vecchio ordinamento, 3+2 per le lauree nuovo ordinamento). Dopo aver conseguito il diploma di laurea specialistica, l’aspirante libero professionista può finalmente mettere alla prova tutte le conoscenze acquisite durante i cinque anni di studi e cominciare a “farsi le ossa” sul campo.
Per facilitare l’accesso alle professioni, la legge tuttavia prevede che il praticantato possa essere svolto anche contestualmente al periodo di studi universitari (per un monte orario corrispondente a 2.000 ore) durante l’ultimo biennio, purché questo non comprometta il rendimento dello studente. Dopo il conseguimento della laurea, lo studente dovrà integrare il biennio di tirocinio già svolto con un ulteriore anno di stage da frequentare come laureato.
Al fine di intensificare la preparazione dei futuri professionisti e nell’ottica di un mondo sempre più improntato sul principio del melting pot, il praticantato può essere in parte svolto all’estero, per un periodo non superiore ai sei mesi, presso lo studio di un professionista autorizzato dal Consiglio dell’Ordine.
Ridotto il tirocinio a 18 mesi
La crisi finanziaria degli ultimi anni, le difficoltà sempre più consistenti di incontro tra domanda e offerta nel mondo lavorativo e la conseguente disoccupazione sempre in crescita, in particolare tra i giovani laureati, hanno indotto il legislatore a rivolgere l’attenzione sulla scottante questione del tirocinio professionale.
Nonostante la fondamentale importanza che questo riveste nella formazione dei futuri professionisti, la durata di tre anni lo rende eccessivamente lungo e, in un certo senso, luogo di stasi in cui gli aspiranti professionisti, costituiscono una potenziale “forza lavoro”. I tirocinanti difatti, oltre a non percepire uno stipendio, non possono essere considerati dei veri e propri lavoratori. Ciò comporta inevitabilmente un ostacolo, seppur con finalità formalizzanti, per i giovani laureati di trovare un impiego e, di conseguenza, un freno per la crescita economica del Paese.
Il D.L. 1 – 24 gennaio 2012, in soccorso a tutti i tirocinanti d’Italia, ha introdotto una sostanziale novità nell’agevolare l’accesso alle professioni. Si stabilisce limite massimo di durata non può essere superiore a diciotto mesi. Anche con questa disposizione, i primi sei mesi possono essere svolti in concomitanza con il corso di studi per il conseguimento della laurea di primo livello o della laurea magistrale o specialistica.
L’entrata in vigore di questo decreto, non essendo retroattivo, ha dato luogo a polemiche e controversie. La riduzione della durata a 18 mesi prevista, sarebbe stata valida solo ed esclusivamente per i tirocini iniziati successivamente all’entrata in vigore di detto decreto.
Violazione del principio di uguaglianza
E’ stata immediatamente eccepita la violazione del principio di uguaglianza che ne sarebbe derivata tra i praticanti che hanno cominciato il praticantato prima dell’entrata in vigore del decreto (anche di un solo giorno) e quelli che, invece, lo avrebbero iniziato a partire dal 24/01/2012.
I primi sarebbero stati costretti a presentarsi all’Esame di Stato non prima del dicembre 2015, i secondi (iscrittisi al tirocinio dal 24 gennaio in poi), seppur possibilmente più giovani di età, avrebbero potuto affrontare l’Esame di abilitazione appena 18 mesi dopo, nel giugno dell’anno successivo.
Il dietro-front del legislatore
Con la Circolare 4 luglio 2012, il Ministero della Giustizia è intervenuto a fare chiarezza sui mille dubbi e perplessità originati con il decreto n. 1 /2012.
Al fine di evitare ogni caso di disparità di trattamento tra i praticanti, la circolare ha stabilito che la riduzione della durata del tirocinio formativo va applicata a tutti i tirocini, anche a quelli che hanno avuto inizio precedentemente il 24 gennaio 2012, così da favorire l’immediata entrata dei giovani laureati nel mondo del lavoro.
Il dietro-front operato dal legislatore con la circolare datata 4 luglio, in concordanza con le finalità di liberalizzazione delle professioni perseguite con gli interventi legislativi formulati negli ultimi mesi, risulta essere uno strumento valido per la crescita economica e per l’abbattimento della disoccupazione tra i giovani laureati.
Il “Decreto del Fare”, novità in materia
Uno dei punti più importanti previsti dal recentissimo “”Decreto del Fare” – Governo Letta saltato agli occhi di giovani laureati e disoccupati è certamente quello che riguarda il Tirocinio Formativo.
Il 24 gennaio scorso è stato firmato l’accordo, a suo tempo previsto dalla Legge n. 92/2012, tra Governo, Regioni e Province autonome, sul documento relativo alle “Linee guida in materia di tirocini”, il quale scaturisce dalla necessità di disciplinare in maniera ferma e puntuale una materia fin troppo confusa e priva di ordine.
Fino ad ora, infatti, la mancanza di linee guida che stabiliscano regole ferme e precise sui tirocini svolti in forza di aziende private, studi professionali e Pubbliche Amministrazioni, e la profonda crisi economica susseguita dalla fortissima disoccupazione ha provocato un uso distorto dell’istituto dello stage formativo trasformandolo in una forma di impiego a costo zero, piuttosto che in un’esperienza da aggiungere al proprio curriculum con cui sperimentare il complicato mondo del lavoro.
L’obiettivo dell’accordo firmato tra Stato e Regioni è sostanzialmente quello di riqualificare l’istituto del tirocinio formativo, riconoscendo in esso il trampolino di lancio per giovani diplomati e laureati verso opportunità di lavoro.
Il praticantato e la sua importanza è stata sancita in primis dalla Commissione Europea che ha ipotizzato la stipula di un vero e proprio “contratto di tirocinio europeo” con indicazione della durata, della retribuzione e degli obiettivi di apprendimento.
In ambito europeo (viene, altresì, specificato nel documento sottoscritto con l’accordo Stato-Regioni) si auspica anche che, a conclusione del praticantato svolto, venga consegnato al tirocinante un certificato che attesti la durata, gli obiettivi professionali raggiunti, le conoscenze acquisite e le mansioni espletate.
Ne consegue che è ormai innegabile la necessità di sancire il diritto in capo ad ogni tirocinante che gli venga riconosciuta, anche in forma forfettaria, una congrua retribuzione/indennità/compenso sulla base dell’attività svolta.
I punti fermi
Questi, dunque, al momento, i punti fermi su cui si spera non vi sia più una retromarcia da parte del Governo:
- tutti i tirocinanti hanno diritto a percepire un’indennità non inferiore ad €. 300,00;
- il praticantato non può essere utilizzato per attività lavorative per le quali non sia necessario un periodo formativo;
- i tirocinanti non possono sostituire lavoratori con contratti a termine (neanche nei periodi di picco delle attività) o sostituire lavoratori assenti (ad esempio per malattia, maternità o ferie).
La mancata corresponsione dell’indennità assume i suoi contorni di obbligatorietà grazie all’introduzione di una sanzione amministrativa a carico di chi trasgredisce. L’ammontare della sanzione deve essere proporzionata alla gravità dell’illecito commesso; sarà variabile da un minimo di €. 1.000,00 ad un massimo di €. 6.000,00, così come previsto dalla L. n. 689 del 24 novembre 1981
Nonostante l’intenzione di regolarizzare l’intero marasma di tale istituto, sono rimasti esclusi da tale tentativo di riorganizzazione i tirocinanti che svolgono la pratica professionale per l’accesso agli Ordini ed alle Libere Professioni. Questi, infatti, continuano a non vedere riconosciuto il loro diritto ad essere retribuiti per il “lavoro” svolto nell’ambito del tirocinio, peraltro obbligatorio per tentare l’Esame di Abilitazione per l’esercizio della professione scelta.
Sono esclusi dalla regolarizzazione anche i tirocini previsti nell’ambito di università, varie istituzioni scolastiche e centri di formazione, i tirocini estivi e, infine, i tirocini svolti da extracomunitari promossi all’interno delle quote di ingresso.
Chi ne è interessato
Le linee guida riguardano:
- i tirocini di formazione e di orientamento svolti da soggetti che hanno conseguito un titolo di studio nei precedenti 12 mesi;
- i tirocini di inserimento e reinserimento al lavoro svolti da disoccupati e inoccupati, cassa integrati e disabili.
La prima forma di tirocini non può avere durata superiore a sei mesi, la seconda, invece, non può superare i dodici mesi (nei soggetti disabili il praticantato può essere prorogato fino a ventiquattro mesi).
Le linee guida stabilite nel documento firmato nel Gennaio 2013, tuttavia, contengono standard minimi di riferimento ai quali le Regioni devono ispirarsi recependoli entro sei mesi tramite interventi autonomamente adottati nelle forme considerate come le più idonee. I tirocini possono essere svolti in Enti pubblici e privati convenzionati che hanno l’obbligo, nonostante non si tratti di veri e propri contratti di lavoro, di comunicarne e denunciarne l’avvio.
Inoltre, ogni tirocinante avrà diritto alla maternità, alla copertura assicurativa ed alla malattia.
Con l’accordo firmato da Stato e Regioni, le parti si impegnano, altresì, a monitorare il raggiungimento degli obiettivi previsti e verificare il processo di riqualificazione dell’istituto del tirocinio al termine dei 24 mesi ritenuti necessari per far sì che le misure assunte si rendano efficaci.
Conclusioni
E’ innegabile che sia stato compiuto un passo avanti nel processo di riqualificazione dell’istituto del tirocinio ma si auspica che negli anni a seguire lo stagista smetta di essere il lavoratore “sfruttato” e i cui diritti siano calpestati solo perché sprovvisto di un contratto di lavoro alla stregua degli altri lavoratori.