Evoluzione normativa e giurisprudenziale
Lo scioglimento dell’organo elettivo di un ente locale si connota quale misura di carattere “straordinario” per fronteggiare un’emergenza “straordinaria” (cfr. Corte Costituzionale, sentenza 19 marzo 1993, n. 103).
L’articolo 141 del D.Lgs. n. 267/2000 (T.u.e.l.) dispone lo scioglimento dei consigli comunali e provinciali con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Ministro dell’interno per una serie di ipotesi tassative.
Ipotesi di scioglimento
La norma rinvia preliminarmente alla eventuale adozione di atti contrari alla Carta costituzionale, di gravi e persistenti violazioni di legge, nonché per gravi motivi di ordine pubblico.
Altre ipotesi attengono alla mancata approvazione del bilancio nei termini di legge, ovvero alla mancata adozione dei strumenti di pianificazione urbanistica generale entro termini tassativi.
Altri presupposti ancora sono dati dall’impossibilità di assicurare il normale funzionamento degli organi e dei servizi per:
- impedimento permanente, rimozione, decadenza, decesso del sindaco o del presidente della provincia;
- dimissioni del sindaco o del presidente della provincia;
- cessazione dalla carica per dimissioni contestuali, ovvero rese anche con atti separati purché contemporaneamente presentati al protocollo dell’ente, della metà più uno dei membri assegnati, non computando a tal fine il sindaco o il presidente della provincia;
- riduzione dell’organo assembleare per impossibilità di surroga alla metà dei componenti del consiglio.
Al di fuori di tali casi, il successivo articolo 143 T.u.e.l. disciplina le ipotesi di scioglimento conseguente a fenomeni di infiltrazione e di condizionamento di tipo mafioso o similare, nonché le connesse responsabilità dei dirigenti e dipendenti.
La norma richiede elementi concreti (assistiti da un obiettivo e documentato accertamento nella loro realtà storica), univoci (con una chiara direzione agli scopi che la misura di rigore è intesa a prevenire), e rilevanti (ovvero idonei all’effetto di compromettere il regolare svolgimento delle funzioni dell’ente locale), su collegamenti diretti o indiretti con la criminalità organizzata di tipo mafioso o similare degli amministratori locali, ovvero su forme di condizionamento degli stessi, tali da determinare un’alterazione del procedimento di formazione della volontà degli organi elettivi ed amministrativi e da compromettere il buon andamento o l’imparzialità’ delle amministrazioni comunali e provinciali, nonché il regolare funzionamento dei servizi ad esse affidati, ovvero che risultino tali da arrecare grave e perdurante pregiudizio per lo stato della sicurezza pubblica.
In relazione agli elementi sintomatici sulla base dei quali può essere disposto il provvedimento di scioglimento, la giurisprudenza amministrativa ha stabilito in molteplici occasioni che le vicende che ne costituiscono il presupposto devono essere considerate “nel loro insieme”, non atomisticamente, e devono risultare idonee a delineare, con una ragionevole ricostruzione, il quadro complessivo del condizionamento mafioso (Cons. Stato, Sez. VI, 10 marzo 2011, n. 1547).
Il rispetto della volontà popolare
Questi precisi parametri rappresentano un corollario del principio di legalità e un vincolo con il quale il legislatore ha controbilanciato la discrezionalità dell’iter procedimentale, al fine di commisurare l’intervento più penetrante dello Stato a contrasto del fenomeno mafioso con i più alti valori costituzionali alla base del nostro ordinamento, quali il rispetto della volontà popolare espressa con il voto e l’autonomia dei diversi livelli di governo garantita dalla Costituzione (Cons. Stato, Sez. III, 20 gennaio 2016, n. 197).
Dunque, assumono rilievo situazioni non traducibili in episodici addebiti personali ma tali da rendere – nel loro insieme – plausibile, nella concreta realtà contingente e in base ai dati dell’esperienza, l’ipotesi di una soggezione degli amministratori locali alla criminalità organizzata (Cons. di Stato, Sez. III, 2 luglio 2014, n. 3340).
La Commissione di Indagine
È compito del prefetto competente per territorio disporre ogni opportuno accertamento: egli può nominare una commissione d’indagine dotata di speciali poteri di accesso e di accertamento.
All’esito della attività istruttoria svolta e relazionata dalla Commissione d’indagine, il prefetto, sentito il comitato provinciale per l’ordine e la sicurezza pubblica integrato con la partecipazione del procuratore della Repubblica competente per territorio, invia al Ministro dell’interno una relazione, anche tendendo conto dei servizi interessati dai fenomeni di compromissione o interferenza con la criminalità organizzata o comunque connotati da condizionamenti o da una condotta antigiuridica.
Lo scioglimento viene disposto con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Ministro dell’interno (indicando le anomalie riscontrate ed i provvedimenti necessari per rimuovere tempestivamente gli effetti più gravi e pregiudizievoli per l’interesse pubblico), previa deliberazione del Consiglio dei ministri entro tre mesi dalla trasmissione della relazione.
Il d.P.R. con il quale è disposto lo scioglimento e la relazione ministeriale di accompagnamento costituiscono, atti di c.d. “alta amministrazione”, perché orientati a determinare ugualmente la tutela di un interesse pubblico, legato alla prevalenza delle azioni di contrasto alla criminalità rispetto alla conservazione degli esiti delle consultazioni elettorali (Cons. Stato, Sez. III, n. 2895/2013).
Lo scioglimento del consiglio comunale o provinciale, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale, comporta la cessazione dalla carica di consigliere, di sindaco, di presidente della provincia, di componente delle rispettive giunte e di ogni altro incarico comunque connesso alle cariche ricoperte.
L’evoluzione normativa più significativa inerente l’articolo 143 T.u.e.l.
Tra le innovazioni di maggior rilievo apportate, si segnala in primo luogo la recente legge n. 94 del 2009 (c.d. “pacchetto sicurezza”), che ha determinato l’incandidabilità degli amministratori ritenuti responsabili della disfacimento dell’ente.
Con la proposta di legge presentata il 15 maggio 2014 si è andato ampliando il dibattito sul tema, richiamato dall’articolo 143, comma 11, di cui al decreto legislativo n. 267 del 2000.
Si legge nella proposta che:
“L’incandidabilità è volta a evitare che tutto il procedimento descritto nella disposizione stessa sia vanificato da un condizionamento così profondo e duraturo delle cosche malavitose di una comunità locale che riporti – a seguito di nuove elezioni – gli stessi soggetti al vertice dell’ente”.
E ancora:
“L’esperienza ha tuttavia mostrato che … la misura dell’incandidabilità ha due punti deboli: uno è relativo al suo ambito d’applicazione e l’altro alla procedura per dichiararla”.
Di conseguenza, è emersa la necessità di prevedere che la norma sia modificata nel senso che al decreto di scioglimento dell’ente locale debba
“seguire un decreto del giudice che dichiari l’incandidabilità, immediatamente efficace e comunicato agli uffici elettorali ed eventualmente reclamabile”.
Ne è derivato il nuovo art. 28 del D.L. 4 ottobre 2018, n. 113: con esso sono state apportate consistenti modifiche, con l’aggiunta del comma 7 bis e l’integrazione del comma 11.
Nel caso in cui non sussistano i presupposti per lo scioglimento, il Ministro dell’interno, entro tre mesi dalla trasmissione della relazione prefettizia, emana comunque un decreto di conclusione del procedimento in cui da’ conto degli esiti dell’attività’ di accertamento.
Tuttavia,
“qualora dalla relazione del prefetto emergano … situazioni sintomatiche di condotte illecite gravi e reiterate … il prefetto, sulla base delle risultanze dell’accesso, al fine di far cessare le situazioni riscontrate e di ricondurre alla normalità l’attività amministrativa dell’ente, individua, fatti salvi i profili di rilevanza penale, i prioritari interventi di risanamento indicando gli atti da assumere, con la fissazione di un termine per l’adozione degli stessi, e fornisce ogni utile supporto tecnico-amministrativo a mezzo dei propri uffici. Decorso inutilmente il termine fissato, il prefetto assegna all’ente un ulteriore termine, non superiore a 20 giorni, per la loro adozione, scaduto il quale si sostituisce, mediante commissario ad acta, all’amministrazione inadempiente”.
È possibile anche che, nelle ipotesi più gravi, vengano applicate misure interdittive o con scopo di prevenzione di eventuali reati.
Incandidabilità degli amministratori
Gli amministratori responsabili delle condotte che hanno dato causa allo scioglimento di cui al presente articolo non possono essere candidati alle elezioni per la Camera dei deputati, per il Senato della Repubblica e per il Parlamento europeo nonché alle elezioni regionali, provinciali, comunali e circoscrizionali, in relazione ai due turni elettorali successivi allo scioglimento stesso, qualora la loro insindacabilità sia dichiarata con provvedimento definitivo. (art. 143, comma 11, del d.lgs. n. 127 del 2000)
Si tenga presente che, in ogni caso, l’incandidabilità è un rimedio
“di extrema ratio volto ad evitare il ricrearsi delle situazioni che la misura dissolutoria il ricrearsi delle situazioni che la misura dissolutoria ha inteso ovviare, e a salvaguardare così beni primari dell’intera collettività nazionale … compromessi o messi in pericolo, non solo dalla collusione tra amministratori locali e criminalità organizzata, ma anche dal condizionamento comunque subito dai primi” (Cass., Sez. Un., 30 gennaio 2015, n. 1747).
Avvocato Iacopo Correa