Gli elementi identificativi della fattispecie
Il delitto di rapina impropria, a sensi dell’articolo 628, comma 2, del codice penale, è integrato da qualunque soggetto che utilizzi “violenza o minaccia immediatamente dopo la sottrazione (della cosa), per assicurare a sé o ad altri il possesso della cosa sottratta, o per procurare a sé o ad altri l’impunità”. Fatto questo breve excursus normativo e necessario approfondire gli elementi del reato de quo.
Con particolare riferimento all’elemento soggettivo del reato, esso è rappresentato dal dolo specifico, ovvero la coscienza e volontà del fatto tipico accompagnato dal fine di perseguire un ingiusto profitto, che ricorre ogniqualvolta la pretesa economica che il soggetto attivo persegue non riceva alcuna tutela dall’ordinamento giuridico.
In caso contrario non si verrebbe a configurare il reato di rapina bensì i reati di esercizio arbitrario della proprie ragioni con violenza alle persone di cui all’articolo art. 393 c.p. ovvero violenza privata ai sensi dell’art. 610 del codice penale.
Quanto, all’elemento oggettivo del reato, il momento consumativo è identificabile innanzitutto con quello dell’impossessamento del bene, impossessamento che deve essere compiuto dal soggetto agente con le proprie mani, ossia con atto materialmente volto ad entrare nel possesso del bene oggetto del reato poiché, se la cosa fosse semplicemente consegnata all’aggressore da parte del soggetto passivo tale fattispecie potrebbe essere ricondotta all’estorsione, regolata dall’art. 629 c.p.
Quando si integra il reato di rapina impropria?
Per l’integrazione del requisito della violenza, invece, la giurisprudenza ritiene sufficiente l’esplicazione di una energia fisica, qualunque ne sia il grado di intensità, purché idonea a produrre una coazione personale. Pertanto, la violenza può consistere anche nel divincolarsi, in una semplice spinta, in uno strattone, in uno schiaffo o simili al derubato ovvero ad altra persona che tenti di impedire la fuga dell’agente.
Al riguardo, non è neppure necessario, quindi, l’esercizio di una violenza di intensità tale da cagionare lesioni, essendo appunto sufficiente l’esercizio di quel minimo di energia fisica idonea a produrre una coazione personale e a vincere l’azione del soggetto passivo o di altri tendente a recuperare la refurtiva o a impedire la fuga dell’autore della sottrazione (cfr. in tal senso Cass. Pen., 5 febbraio 2010, n. 18551).
Inoltre, la violenza può essere esercitata con qualsiasi strumento e, quindi, anche con un mezzo meccanico, quale la automobile, non destinato per sua natura all’offesa. Nel caso di fuga, bisogna verificare, quindi, se non siano stati travalicati i limiti normali di uso dell’autoveicolo ovvero se sono state attuate manovre dirette ad ostacolare l’attività di persone con incombente minaccia alla loro incolumità.
L’indirizzo giurisprudenziale sulla corretta qualificazione giuridica del delitto di rapina impropria
Sulla scorta di tali principi, ad esempio la Suprema Corte di cassazione (Cass., 23 maggio 2012, n. 19490) ha ritenuto integrato il delitto di rapina impropria nel caso di un soggetto che, dopo un furto, si era dato alla fuga inseguito dalle forze dell’ordine e che, nel mentre della fuga, aveva urtato – sia pure lievemente – altri veicoli in circolazione compresa una automobile dei carabinieri.
Si segnala poi anche Cass., SS. UU., 12 settembre 2012, n. 34952, pronuncia nella quale i giudici si sono chiesti se configuri tentativo di rapina impropria ovvero concorso tra il tentativo di furto con un reato di violenza o minaccia la condotta di chi,dopo aver compiuto atti idonei diretti all’impossessamento della cosa altrui, non portati a compimento per fatti indipendenti dalla sua volontà, adoperi violenza o minaccia nei confronti di quanti cerchino di ostacolarlo, per assicurarsi l’impunità.
Infatti, sino all’autorevole pronuncia delle Sezioni Unite, in merito alla suddetta questione si registravano due orientamenti giurisprudenziali contrastanti.
Tale impostazione rileva che il delitto di rapina, sia nella forma propria che in quella impropria, costituisce un tipico delitto di evento, suscettibile come tale di arrestarsi allo stadio del tentativo, qualora la sottrazione non si verifichi.
Pertanto, tutte le volte in cui un tentativo di furto sfoci in violenza o minaccia finalizzate ad assicurarsi l’impunità, una lettura sistematica dell’articolo 628, comma 2, c.p. impone di concludere che, anche in caso di mancato conseguimento della sottrazione del bene altrui, sia stata messa in atto una rapina impropria incompiuta e quindi un tentativo di rapina impropria.
Un punto di approdo
In conclusione, ciò che rileva affinché si configuri la fattispecie della rapina impropria è che tra le condotte di aggressione al patrimonio e di aggressione alla persona intercorra un arco temporale tale da non interrompere il nesso di contestualità dell’azione complessiva posta in essere.
Potendosi dunque prescindere dall’effettivo impossessamento del bene, il riferimento alla mera sottrazione, da un lato, lascia spazio al tentativo, ovvero agli atti idonei diretti in modo non equivoco a sottrarre la cosa altrui, dall’altro, permette di affermare che la successiva violenza esercitata per procurarsi l’impunità non resta avulsa dal modello legale prefigurato nell’art. 628 comma secondo, c.p..