Cosa comporta, orientamenti, aspetti e tutela giurisdizionale
La giustizia è un pilastro fondamentale di uno Stato di diritto, e la sua efficacia dipende in gran parte dal rispetto e dall’attuazione delle decisioni giudiziarie. Tuttavia, in alcune situazioni, l’omessa esecuzione dolosa di un provvedimento del giudice può mettere a rischio il buon funzionamento dell’amministrazione della giustizia e l’interesse delle parti coinvolte. Nel contesto del diritto penale italiano, l’articolo 388 del codice penale affronta proprio questa problematica, suscitando un intenso dibattito giurisprudenziale e dottrinale riguardo alla nozione di “elusione” e alle conseguenze penali della violazione di tali provvedimenti. In questo articolo, analizzeremo le diverse interpretazioni di questo concetto e il ruolo delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione nella risoluzione di tale disputa.
Provvedimento del Giudice
Le fattispecie delittuose contemplate dall’articolo 388 del codice penale si inseriscono nel quadro dei delitti contro l’amministrazione della giustizia (Titolo III, Libro II del codice penale), ed in particolare nel Capo II, dedicato agli illeciti in contrasto con il principio generale di autorità che assiste ogni provvedimento giurisdizionale.
Con riguardo all’interpretazione del comma 2 dell’art. 388 c.p. si era, già da tempo, sviluppato un intenso dibattito che ha coinvolto trasversalmente sia la dottrina che la giurisprudenza.
La norma in questione, infatti, punisce “con la reclusione fino a tre anni o con la multa da euro 103 a euro 1.032” il soggetto che “eluda” l’esecuzione di un provvedimento del giudice civile, in merito all’affidamento di minori o incapaci, piuttosto che all’applicazione di misure cautelari a tutela della proprietà, del possesso oppure del credito.
Trattasi di fattispecie propria, potendo essere integrata esclusivamente da chi ricopra una data qualifica o da chi versi in peculiari situazioni giuridiche descritte analiticamente nella norma.
In relazione, invece, alla definizione del concetto di “elusione”, o meglio di identificazione delle condotte ad esso concretamente riconducibili, nella giurisprudenza antecedente alle Sezioni Unite sono state elaborate tre diverse soluzioni ermeneutiche.
La mera inottemperanza ha rilevanza penale? Gli orientamento giurisprudenziali
Secondo una parte della giurisprudenza, infatti, nel delitto di cui all’art. 388 c.p. il termine elusione doveva essere inteso in senso ampio sino a comprendere qualunque comportamento positivo o negativo – che non esigesse scaltrezza o condotta subdole – diretto ad ostacolare l’esecuzione del provvedimento del giudice.
Secondo un opposto orientamento giurisprudenziale, invece, ai fini della sussistenza del reato di elusione di un provvedimento del giudice di cui all’articolo 388, secondo comma, del codice penale, non si considerava bastevole una semplice condotta omissiva, ma, al contrario, si riteneva dovuto un atteggiamento operoso del soggetto agente, volto a vanificare o per lo meno a rendere difficile l’esecuzione del provvedimento giudiziale, ciò perché la semplice inattività viene perseguita dalla legge con sanzioni di carattere civilistico appositamente predisposte.
Altra tesi intermedia riteneva che, qualora si trattava di un obbligo di non fare, si sosteneva, risultava elusivo anche il solo fatto della sua violazione; se si trattava di un obbligo di fare, era rilevante solo il comportamento volto a impedire il risultato concreto cui tende il comando giudiziale. Si precisava peraltro che, anche in caso di violazione di obblighi di fare, la inazione dell’obbligato poteva assumere rilievo ogni volta che l’esecuzione del provvedimento del giudice richiedesse la sua collaborazione.
Le questioni poste dalla disputa giurisprudenziale sopra riassunta sono dunque le seguenti: perché possa dirsi consumato il delitto di cui all’art. 388, comma 2 c.p., e quindi posta in essere quella condotta elusiva ivi sanzionata, è sufficiente un mero rifiuto di dare esecuzione al provvedimento giudiziale o è necessario un comportamento commissivo?
Rileva in qualche modo in tal senso anche la natura dell’obbligo da eseguire?
A dare finalmente una risposta sono intervenute le Sezioni Unite della Corte di cassazione con sentenza del 27 settembre 2007, n. 36692.
La Suprema Corte parte dall’identificazione del bene giuridico tutelato dalla fattispecie in esame ed esclude che questo possa essere identificato nell’autorità in sé delle decisioni giudiziarie, alla luce di una diversa interpretazione del comma primo della norma sopra citata, a tenore della quale: quale
“chiunque, per sottrarsi all’adempimento degli obblighi civili nascenti da una sentenza di condanna, o dei quali è in corso l’accertamento dinanzi l’Autorità giudiziaria, compie, sui propri o sugli altrui beni, atti simulati o fraudolenti, o commette allo stesso scopo altri fatti fraudolenti, è punito, qualora non ottemperi alla ingiunzione di eseguire la sentenza, con la reclusione fino a tre anni o con la multa da lire duecentomila a due milioni”.
Il primo comma del citato articolo 388, dunque, non assegnerebbe rilevanza penale a qualsiasi inadempimento
“degli obblighi civili nascenti da una sentenza di condanna o dei quali è in corso l’accertamento dinanzi l’Autorità giudiziaria”,
ma richiederebbe il compimento di atti simulati o fraudolenti, intesi a sottrarre l’obbligato all’adempimento e seguiti dall’effettiva inottemperanza all’ingiunzione di eseguire la sentenza.
Alla luce di ciò non si vede come si possa non riconoscere un’analoga interpretazione anche al secondo comma dell’articolo, laddove questo punisce comportamenti elusivi di provvedimenti cautelari, destinati a salvaguardare l’esecuzione della pronuncia del giudice.
L’oggetto giuridico dell’interesse alla effettività della tutela giurisdizionale
Tale bene giuridico è garantito dalla Costituzione.
È significativo del resto che la condotta prevista dall’art. 388, comma 2, c.p. sia descritta come elusione non del provvedimento interinale in sé, bensì della sua esecuzione. Sicché è ragionevole ritenere che si richieda una condotta ben più trasgressiva della mera inottemperanza, altrimenti sarebbe stato sufficiente definire la condotta in termini di “inosservanza”, come nel successivo art. 389 c.p., che punisce la “inosservanza di pene accessorie”, nell’art. 509 c.p., che punisce la “inosservanza delle norme disciplinanti i rapporti di lavoro”, o nell’art. 650 c.p., che punisce la “inosservanza dei provvedimenti dell’autorità”.
Tanto premesso, quindi, la giurisprudenza tende a distinguere tra obblighi che non richiedono per la loro esecuzione un apporto collaborativo del soggetto destinatario degli stessi e obblighi la cui ottemperanza non può essere esente dalla cooperazione del soggetto destinatario, enunciando il seguente principio:
“il mero rifiuto di ottemperare ai provvedimenti giudiziali previsti dall’art. 388 comma 2 c.p. non costituisce comportamento elusivo penalmente rilevante, a meno che la natura personale delle prestazioni imposte ovvero la natura interdittiva dello stesso provvedimento esigano per l’esecuzione il contributo dell’obbligato. Infatti l’interesse tutelato dal secondo come dal primo comma dell’art. 388 c.p. non è l’autorità in sé delle decisioni giurisdizionali, bensì l’esigenza costituzionale di effettività della giurisdizione”.
Conclusione
In conclusione, l’interpretazione dell’articolo 388 del codice penale italiano, che riguarda l’omessa esecuzione dolosa di un provvedimento del giudice, ha generato un dibattito giurisprudenziale e dottrinale significativo sul concetto di “elusione” e le relative conseguenze penali. Le diverse posizioni emerse dalla giurisprudenza hanno portato a tre soluzioni ermeneutiche principali riguardo alla nozione di elusione: una visione ampia che include qualsiasi comportamento positivo o negativo, una visione più restrittiva che richiede un atteggiamento operoso, e una tesi intermedia che fa distinzione tra obblighi di fare e obblighi di non fare.
Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, con la sentenza del 27 settembre 2007, n. 36692, hanno fornito una risposta a questo dibattito, evidenziando che l’interesse tutelato dall’articolo 388 non è l’autorità in sé delle decisioni giurisdizionali, ma piuttosto l’effettività della giurisdizione, garantita dalla Costituzione. Pertanto, il mero rifiuto di ottemperare ai provvedimenti giudiziali non costituisce comportamento elusivo penalmente rilevante, a meno che la natura personale delle prestazioni imposte o la natura interdittiva dello stesso provvedimento esigano per l’esecuzione il contributo dell’obbligato.
La chiarezza fornita dalla Corte di Cassazione in merito a questa questione contribuisce a garantire un’interpretazione più uniforme e coerente dell’articolo 388 del codice penale e rafforza l’importanza della tutela dell’effettività della giurisdizione nell’ambito del sistema giudiziario italiano.
Avv. Iacopo Correa