Premialità a scarto ridotto
E’ stata scritta una nuova pagina nella storia della procedura penale, con la Legge 12 aprile 2019 n. 33 (“Inapplicabilità del giudizio abbreviato ai delitti puniti con la pena dell’ergastolo”), pubblicata in Gazzetta ufficiale il 23 aprile 2019.
Si tratta di una riforma che tocca un tema molto delicato nel panorama normativo, incidendo sulla pena da riservare per reati come omicidio aggravato, strage, devastazione.
La normativa in esame, nei cinque articoli di cui si compone, si risolve in un aggravamento del sistema sanzionatorio, penalizzando chiunque si macchi dei peggiori reati presenti nel codice penale, quelli punibili appunto con l’ergastolo.
La suddetta norma, pur essendo composta da soli cinque articoli, è destinata ad incidere in modo molto marcato sulle sorti processuali di un ampio numero di imputati.
Il Giudizio Abbreviato nel codice di rito: gli articoli 438-443 del Codice di Procedura Penale
Il giudizio abbreviato è un rito speciale disciplinato dagli artt. 438-443 c.p.p. e la ratio sottesa alla sua creazione consiste nell’esigenza di contrastare gli alti costi e l’eccessiva durata dei processi.
L’imputato che opti per questo rito – alternativo a quello ordinario – viene dunque giudicato “allo stato degli atti”, rinunciando così alla formazione del contraddittorio delle parti.
Ciò ovviamente comporta una diminuzione di garanzie processuali e per questo motivo il condannato può usufruire di uno sconto di pena, rispettivamente di un terzo per i delitti e della metà per le contravvenzioni.
Una sorta di “premio”, che però impedisce all’accusato di poter ricorrere in appello contro la sentenza di condanna (facoltà riservata invece al Pubblico Ministero).
Il sesto libro del codice di procedura penale italiano, dedicato alla disciplina dei cc.dd. “riti speciali” si apre proprio con il giudizio abbreviato il quale rinviene la propria premialità per il fatto di attuare un bilanciamento tra due opposte esigenze: il rispetto del principio della ragionevole durata dei processi da un lato e il principio del contraddittorio dall’altro.
Proprio in quanto nato per soddisfare esigenze di intrinseca celerità, la sede naturale in cui presentare l’istanza di accesso a tale rito è rappresentata dall’udienza preliminare (rito abbreviato “tipico”), nonché la facoltà data all’imputato di accedere a tale rito, anche laddove il processo fosse stato attivato in una modalità diversa, ed ecco venire ad essere il giudizio abbreviato “atipico”, quale esito di una conversione da un diverso rito, pur esso speciale.
Allora, la caratteristica del rito in esame è definita espressamente dall’art. 438 c.p.p. nella parte in cui statuisce che l’imputato possa domandare la definizione del processo all’udienza preliminare “allo stato degli atti”. Ciò significa che per l’effetto di tale scelta, non si darà luogo all’istruttoria dibattimentale, e che il giudice sarà chiamato a rendere la sentenza del primo grado di giudizio sulla base di quanto contenuto nel fascicolo del P.M.
A fronte di tale scelta che vede una indiscutibile compressione del diritto al contraddittorio sulla formazione della prova in dibattimento, il vantaggio a cui l’imputato potrà accedere sarà dato dalla inflizione di una pena ridotta di un terzo, in caso di condanna; ciò in quanto il processo avesse ad oggetto un delitto, in quanto per le contravvenzioni, la riduzione premiale sarebbe della metà.
Inapplicabilità, inammissibilità e revoca del giudizio abbreviato
L’ergastolo, disciplinato dall’articolo 22 c.p., consiste in una pena “perpetua”, che obbliga il condannato al lavoro e all’isolamento diurno. In merito a esso, la riforma in esame (articolo 1) comporta innanzitutto tre modifiche all’articolo 438 c.p.p.:
- La prima modifica è legata al nucleo stesso della legge, ossia l’inammissibilità del giudizio abbreviato per reati puniti con la pena dell’ergastolo;
- Nel caso ne venga dichiarata l’inammissibilità o il rigetto, l’imputato può effettuare nuovamente la proposta per il rito speciale fino a che non siano formulate le conclusioni.
- Se, in seguito alla negazione del giudizio abbreviato – nell’udienza preliminare – il giudice ne accerti invece l’ammissibilità, si applica la conseguente riduzione di pena.
L’articolo 2 della legge 33/2019, invece, modifica l’articolo 441-bis c.p.p., aggiungendovi il comma 1-bis.
In base a esso, il giudice può revocare con ordinanza il giudizio abbreviato – e disporre così l’udienza preliminare – in seguito a contestazioni che portano a procedere per delitti punibili con l’ergastolo.
Inoltre, si applica il comma 4 dello stesso articolo, secondo cui la domanda ex art. 438 c.p.p. non può più essere riproposta.
L’articolo 1 della legge 33 ha arricchito l’articolo 438 del codice di procedura penale con il comma 1-bis che dispone l’inammissibilità del giudizio abbreviato per i delitti puniti con la pena dell’ergastolo.
Ecco la vera e propria riforma, che non consentirà più a coloro i quali affrontano un processo per delitti quali l’omicidio aggravato o il sequestro di persona a scopo di estorsione da cui sia derivata la morte della vittima, di richiedere l’applicazione di tale rito. Sempre l’art. 1, al comma dell’art. 438 stabilisce che seppure l’imputato avesse vista dichiarata l’inammissibilità o rigettata la propria opzione per il rito premiale, fino alla formulazione delle conclusioni (ossia fino al termine preclusivo che già conoscevamo), questi può riformulare l’istanza.
Infine, viene aggiunto l’art. 6-ter che regola il caso di una diversa determinazione del Giudice dell’udienza preliminare rispetto al Giudice del dibattimento, sancendo quanto segue:
”Qualora la richiesta di giudizio abbreviato proposta nell’udienza preliminare sia stata dichiarata inammissibile ai sensi del comma 1-bis, il giudice, se all’esito del dibattimento ritiene che per il fatto accertato sia ammissibile il giudizio abbreviato, applica la riduzione della pena ai sensi dell’art. 442, comma 2”.
L’articolo 2 della legge di riforma è di segno processualmente opposto in quanto dispone in tema di mutamento del rito a seguito di diversa configurazione giuridica, modificando l’articolo 441-bis c.p.p., inserendovi il comma 1-bis, ai sensi del quale è sancito il potere-dovere del giudice di revocare il giudizio abbreviato se, successivamente a possibili obiezioni
“si procede per delitti puniti con l’ergastolo, il giudice revoca, anche d’ufficio, l’ordinanza con cui era stato disposto il giudizio abbreviato e fissa l’udienza preliminare o la sua eventuale prosecuzione”.
Regime penitenziario, diversa qualificazione giuridica del Capo d’Imputazione e doverosa irretroattività ai processi pendenti
L’articolo 3 della summenzionata norma ha altresì abrogato il secondo e il terzo periodo del comma 2 dell’articolo 442, rubricato “Decisione” del codice di rito penale, in tema di carico sanzionatorio.
Le norme abrogate stabilivano che, quale conseguenza della scelta del rito abbreviato, alla pena dell’ergastolo si sostituiva quella della reclusione, e se invece fosse comunque stata emessa una sentenza di condanna all’ergastolo in caso di capi di imputazione caratterizzati e da concorso di reati e reato continuato, questo sarebbe stato scontato senza l’isolamento diurno.
Altresì l’articolo 4 della legge 33/2019 ha inserito all’articolo 429 del c.p.p. il comma 2-bis il quale stabilisce quanto segue:
“Se si procede per delitto punito con la pena dell’ergastolo e il giudice dà al fatto una definizione giuridica diversa da quella enunciata nell’imputazione, tale da rendere ammissibile il giudizio abbreviato, il decreto che dispone il giudizio contiene l’avviso che l’imputato può chiedere il giudizio abbreviato entro quindici giorni dalla lettura del provvedimento o dalla sua notificazione”.
Infine, l’articolo 5 della legge 33 si chiude con una norma “di sistema” in quanto in modo esplicito vieta l’applicazione delle disposizioni in essa contenute a quelli che sono i fatti commessi prima della sua entrata in vigore.
Le opinioni sulla Legge 33/2019: una contraddizione di sistema
Sono state numerose le critiche provenienti tanto dagli avvocati quanto dai magistrati generato in tema di riforma di rito abbreviato, già prima che ciò diventasse legge. I punti di criticità sollevati hanno riguardato più aspetti della riforma; in primis va evidenziato come, nei fatti, a causa delle norme sulla competenza per materia, è diretta conseguenza della legge che l’aggravio del carico di lavoro per le Corti d’Assise non farebbe altro che avere un effetto controproducente sullo scopo del rito abbreviato, ossia un effetto deflattivo del contenzioso.
Ancora, sul piano processuale, va detto che l’aumento della durata dei processi non può non produrre conseguenze sulla durata della custodia cautelare, i cui termini andrebbero a scadere prima dell’emanazione della sentenza, vanificandone di fatto l’operatività pratica.
Inoltre, la riforma va ad incidere su un argomento molto delicato: i collaboratori di giustizia, i quali, sono beneficiari di un trattamento sanzionatorio di favore per espressa previsione normativa da un lato, ma paradossalmente, essendo preclusa loro la via d’accesso al rito premiale – in quanto legato all’imputazione – potrebbero poi scegliere di non collaborare con la giustizia.
Infine, nel caso (non infrequente, per altro) di imputazioni cumulative, per reati che consentono di optare per il giudizio abbreviato e altri per i quali vi è preclusione, una richiesta “a metà”, genererebbe un innegabile paradosso: la celebrazione di più di un processo e, quindi, un innegabile aumento del carico dei giudizi pendenti presso gli uffici giudiziari.
Non meno importante, da parte di molti penalisti si evidenzia l’incompatibilità di tale legge con il principio rieducativo della pena, cardine del nostro sistema penale.
Tuttavia, la Corte Costituzionale ha sempre ribadito che la pena dell’ergastolo non contrasti con tale principio, in quanto riguarderebbe per l’appunto i reati più gravi in assoluto, svolgendo così un efficace funzione deterrente.