Ottenere il giusto risarcimento è un diritto soggettivo
Il ricorso, un diritto soggettivo
Tutti commettono degli errori, anche i Tribunali; d’altronde anch’essi sono composti da esseri umani i quali, a dispetto di ogni auspicio, non sono infallibili. La legge, tuttavia, permette di porre rimedio ad un errore di valutazione compiuto da un Giudice, anche se solo per mezzo di un risarcimento monetario.
Il ricorso per ottenere la riparazione ad una ingiusta detenzione è previsto dagli artt. 314 e 315 del Codice di Procedura Penale. Il presupposto dal quale parte tale normativa è proprio il fatto che gli organi preposti al giudizio possono commettere un errore nel giudicare un imputato, il quale subisce una pena in maniera ingiusta.
All’imputato, oggetto dell’errore giudiziario, è riconosciuto un vero e proprio diritto soggettivo che è quello di proporre ricorso per ottenere un idoneo risarcimento per aver scontato una pena che non gli spettava.
Il ricorso può essere proposto dall’imputato che è stato sottoposto ad una misura cautelare detentiva, che può essere il carcere o gli arresti domiciliari per un reato da cui è poi stato assolto, o per il quale è stata successivamente emessa un’ordinanza di archiviazione o una sentenza di non luogo a procedere.
Il diritto soggettivo in questione è stato introdotto nella normativa italiana a partire dal 1988, con lo scopo di adempiere ad un principio riconosciuto dalla Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali la quale, all’art. 5, stabilisce che ogni persona che viene privata della libertà per mezzo dell’arresto o della detenzione ha il diritto di presentare ricorso ad un Tribunale, che ha l’obbligo di decidere in breve tempo se la sua detenzione è legittima e, in caso negativo, deve ordinarne la scarcerazione. Colui che è stato vittima di ingiusta detenzione ha il diritto di chiedere la riparazione per tale danno subito.
Riparazione per Errore Giudiziario, differenza
Per fare ulteriore chiarezza, è importante sottolineare la differenza tre riparazione per ingiusta detenzione e riparazione per errore giudiziario.
La prima, subentra nei casi in cui l’imputato sia stato soggetto, ingiustamente a custodia cautelare in carcere o agli arresti domiciliari, quindi ad una detenzione preventiva. La riparazione per errore giudiziario, invece, si ha nei casi in cui si sia già dato luogo ad un processo e sia già stata emessa una sentenza diventata poi esecutiva.
In quest’ultimo caso, se si ritiene che la sentenza irrevocabile di condanna sia ingiusta, bisogna dare inizio ad un giudizio di revisione della sentenza, portando di fronte ad un Giudice nuove prove che dimostrino l’erroneità della sentenza.
Presentazione della domanda di riparazione per ingiusta detenzione
La domanda di riparazione deve essere presentata dall’imputato dopo che in suo favore è stata emessa una sentenza di assoluzione e dopo che essa è diventata irrevocabile. Su tale richiesta è chiamata a pronunciarsi la Corte di Appello con un procedimento in camera di consiglio.
L’art. 314 del Codice di Procedura Penale, nei commi primo e secondo, chiarisce che l’errore in cui può incorrere un Giudice può differenziarsi in due categorie: quella dell’errore sostanziale e quella dell’errore formale.
L’ingiustizia sostanziale si ha nei casi in cui al termine di un processo si giunge ad una sentenza irrevocabile di proscioglimento perché il fatto non sussiste o non è stato commesso, oppure ancora perché questo non costituisce reato. O ancora, qualora il Giudice emette una sentenza di non luogo a procedere o un provvedimento di archiviazione.
L’ingiustizia formale, invece, ricorre quando, a prescindere dalla sentenza emessa al termine del processo, viene provato che la misura di custodia cautelare in carcere o ai domiciliari (quindi la privazione della libertà in via preventiva) non era necessaria o non ne ricorreva alcuna condizione di applicabilità.
La domanda di riparazione per l’ingiusta detenzione subita va presentata nel termine di 2 anni dal giorno in cui la sentenza è diventata definitiva ed irrevocabile.
L’istanza deve essere depositata presso la Cancelleria della Corte di Appello del distretto in cui è stata emessa la sentenza. Qualora sia la Corte di Cassazione ad emettere la sentenza diventata definitiva, l’istanza deve essere depositata presso la Cancelleria della Corte di Appello nel cui distretto è stata emessa la sentenza impugnata.
Se l’istanza viene presentata oltre il termine dei 2 anni, viene dichiarata inammissibile, in caso contrario verrà giudicata dalla Corte di Appello, riunita in camera di consiglio.
E’ sottointeso che l’istante deve essere assistito dal suo legale, munito di procura speciale e, laddove si trovi in condizioni di difficoltà economica può chiedere l’assistenza del patrocinio a spese dello Stato.
Può anche verificarsi che, una volta intrapreso il percorso di richiesta della riparazione per l’ingiusta detenzione subita, colui che l’ha richiesta deceda. In questo caso, sono autorizzati (dalla legge) a richiedere la riparazione (quindi ad incassare la somma liquidata) il coniuge, discendenti e ascendenti, fratelli e sorelle, affini entro il primo grado e coloro che sono legati da un vincolo di adozione.
Inoltre, al fine di cercare di reintegrare lo status quo vigente prima di subire la misura cautelare detentiva in maniera ingiusta, la legge prevede anche che colui il quale, a causa della pena impropriamente subita, sia stato licenziato, venga reintegrato nel proprio posto di lavoro.
La Legge Carotti
In materia di riparazione per ingiusta detenzione, merita menzione la Legge n. 479 del 16/12/99, denominata “Legge Carotti“. Questa apporta importanti modifiche all’art. 315 del cpp.
La norma, sposta il limite massimo previsto di risarcimento per aver subito un’ingiusta permanenza da cento milioni di lire ad un miliardo che con la conversione in Euro è diventato di €. 516.456,90.
Inoltre, la normativa ha, altresì, aumentato il termine ultimo per proporre, a pena di inammissibilità, la domanda di riparazione che è passato da un anno e mezzo a 2 anni dal giorno in cui:
- la sentenza di assoluzione è diventata irrevocabile;
- la sentenza di non luogo a procedere è diventata inoppugnabile;
- Il provvedimento di archiviazione è stato notificato alla parte a favore della quale è stato pronunciato.
Conclusioni
Prevedere un risarcimento per un errore compiuto da un Tribunale rappresenta una preziosa garanzia per la tutela dei diritti di noi cittadini. Tuttavia, pensare che un soggetto subisca una restrizione o addirittura una totale privazione della propria libertà in maniera ingiusta per poi essere risarcito economicamente lascia perplessi poiché nessuna somma di denaro può restituire ad un soggetto, quei giorni di mancata libertà.