Il caso di Mutamento di destinazione d’uso di un immobile
Salvo i casi di riduzione o di esonero dei costi di costruzione, il testo unico in materia di edilizia (d.P.R. n. 380 del 6 giugno 2001), stabilisce all’articolo 16 che è dovuto il pagamento di un contributo per richiedere il rilascio del titolo abilitativo del permesso di costruire, proporzionato alla incidenza degli oneri di urbanizzazione ed al costo di costruzione.
Mentre una quota di contributo inerente gli oneri di urbanizzazione viene rilasciata all’ente locale comunale al momento del rilascio del titolo, una quota concerne il costo di costruzione del manufatto (preventivamente determinata), entro sessanta giorni dalla ultimazione della costruzione.
Rebus sic stantibus, cosa accade in caso di mutamento di destinazione d’uso dell’immobile?
Le ipotesi esaminate dal T.A.R. Puglia – Bari in tema di costo di costruzione
Sul tema si è espresso di recente il T.A.R. Puglia – Bari, con le recentissime sentenze n. 353 del 5 marzo e n. 468 del 29 marzo 2019.
Il primo caso ha avuto ad oggetto la richiesta di annullamento di un provvedimento amministrativo comunale afferente la richiesta di pagamento di un contributo di costruzione riguardante una domanda di permesso di costruire per la realizzazione di un cambio di destinazione da uso residenziale.
Il ricorrente, proprietario di un immobile composto da tre locali adibiti ad attività commerciale da molto tempo, ha locato uno dei suddetti locali; a seguito di verifiche sulla attività esercitata all’interno dei vani è emersa la mancanza di destinazione ad uso commerciale, e ciò ha di fatto impedito la prosecuzione della attività fino a quel momento esercitata.
Alla luce di ciò, è stata inoltrata alla Amministrazione comunale una richiesta di permesso di costruire per mutamento di destinazione d’uso senza opere corredata da tutta la documentazione richiesta dalla legge.
In tal modo, il Comune ha domandato al proprietario del manufatto, prima del rilascio del titolo edilizio, il pagamento del contributo di costruzione.
Nel caso di specie, la p.A., in mancanza di adeguato supporto motivazionale, ha preteso inizialmente il pagamento del contributo per poter ottenere il rilascio del permesso di costruire per la realizzazione di un cambio di destinazione da uso residenziale ad uso commerciale del locale; in seguito alla richiesta di annullamento in autotutela del provvedimento de quo avanzata dal ricorrente, il Comune si è semplicisticamente riportato alla disciplina di cui all’articolo 23 ter del T.U., travisando la questione avanzata e senza tenere in debito conto i caratteri urbanistici ed edilizi dei locali che avrebbero dovuto essere destinati ad uso commerciale.
Solamente uno dei locali poteva essere legittimamente assoggettato all’onere del pagamento del contributo di costruzione, in quanto non avente destinazione commerciale, mentre gli altri locali appartenevano già alla categoria commerciale.
Cambio tra destinazioni non omogenee
Il secondo caso esaminato dal giudice di prime cure ha avuto ad oggetto l’accertamento del diritto alla ripetizione del contributo per oneri concessori ritenuto indebitamente percepito dalla Amministrazione comunale per l’ottenimento di permessi di costruire, volto a mutare la destinazione d’uso di una unità immobiliare.
Per il rilascio dei titoli edilizi, il proprietario, cedendo gratuitamente alcune aree, ha ritenuto (asseritamente) di reperire gli spazi necessari alla realizzazione delle opere, nella logica di poter ottenere il cambio di destinazione d’uso con la procedura più semplificata della segnalazione certificata di inizio attività, in assenza di opere realmente assentibili, ma al più assimilabili alla tipologia della attività di edilizia leggera, regolata dall’articolo 3 comma, 1 lett. d) del d.P.R. n. 380/01.
Nel caso in esame, il passaggio dalla destinazione d’uso da terziario a residenziale ha determinato un cambio tra destinazioni “non omogenee”, che, anche in assenza di esecuzione di opere, e incidendo sul carico urbanistico, necessitava del permesso di costruire e, conseguentemente, del pagamento del contributo di costruzione (cfr. ex multis, T.A.R. Campania, Napoli, sez. III, 6 febbraio 2017, n. 745).
La normativa in tema di cambio di destinazione d’uso di un immobile
Per poter analizzare nel dettaglio le presenti controversie, è necessario esaminare in maniera più approfondita la disciplina del mutamento di destinazione d’uso, alla luce di quanto disciplinato dall’art. 23 ter del T.U.E., introdotto dal c.d. Sblocca Italia nel settembre del 2014.
La norma in esame sancisce che per mutamento rilevante della destinazione d’uso debba essere presa ad esame ogni forma di utilizzo dell’immobile e/o della singola unità dell’immobile, che, sebbene non sia accompagnata dall’esecuzione di alcuna opera edilizia, sia tale da determinare la sua assegnazione ad una categoria funzionale di tipo residenziale, turistico-ricettiva, produttiva e direzionale, commerciale o rurale.
La norma fa salva, in ogni caso, una diversa legiferazione da parte delle Regioni, che godono sul punto di ampia autonomia.
Sussiste pertanto un mutamento di destinazione d’uso rilevante sotto il profilo urbanistico laddove l’immobile (o l’unità immobiliare) venga adoperato in modo differente da quello originario; ciò anche nell’ipotesi di carenza di esecuzione di opere edilizie, se concretamente il manufatto venga assegnato ad una diversa categoria funzionale prevista dal legislatore.
Va pagato il contributo per il rilascio del permesso di costruire nel caso di mutamento di destinazione d’uso di un immobile
È bene chiarire che, ai fini del sorgere del presupposto imponibile del contributo di costruzione, l’aspetto che rileva maggiormente è se il suddetto mutamento determini il passaggio ad una categoria funzionale autonoma connotata da un diverso carico urbanistico, e non la realizzazione o meno di opere.
Tale situazione, infatti, implica la necessità di una distribuzione dei relativi costi sociali, che devono necessariamente ricadere a carico di coloro che realmente si trovino a beneficiare delle relative utilitas (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 20 novembre 2018).
La normativa del d.P.R. n. 380 del 6 giugno 2001 è nitida nel chiarire che il mutamento di destinazione d’uso, in ragione della finalità di semplificazione delle attività edilizie voluta dal legislatore nel 2014, giammai si è spinta fino al punto di rendere tra loro omogenee tutte le categorie funzionali, le quali rimangono, evidentemente, non assimilabili.
Avv. Iacopo Correa