Periodo non retribuito di astensione dal lavoro per mamme e papà
Il diritto alla conservazione del posto di lavoro
Con la nascita di un figlio i genitori lavoratori hanno il diritto/dovere di conoscere i numerosi istituti messi a disposizione dalla normativa. Il primo fra tutti è il congedo di maternità obbligatorio che permette alla mamma lavoratrice di astenersi dal lavoro per un totale di cinque mesi, configurabili a sua scelta o dai due mesi antecedenti il parto e per i primi tre mesi di vita del bambino, oppure in alternativa a partire dall’ottavo mese di gestazione e per i quattro mesi successivi al parto.
Oltre a tale astensione obbligatoria, la mamma lavoratrice dipendente ha la possibilità di usufruire del congedo di maternità facoltativo che le permette di assentarsi dal lavoro per un ulteriore periodo non superiore a sei mesi, prolungando così il periodo di assenza dal lavoro oltre ai cinque mesi tassativamente previsti dalla legge con il congedo obbligatorio. Quest’ultimo è utilizzabile anche dal neo padre che ne può usufruire per un periodo non superiore ai sei mesi. In quest’ultimo caso, l’istituto prende il nome di congedo parentale facoltativo. Infine va aggiunto a tali due istituti anche l’aspettativa facoltativa per maternità.
Va anzitutto precisato che come tutte le aspettative anche quella di maternità non viene retribuita ed il lavoratore ha diritto solo alla conservazione del posto per tutto il periodo dell’aspettativa.
La domanda e la motivazione della richiesta
L’aspettativa non retribuita può essere richiesta fino al compimento del primo anno di vita del bambino. Il genitore che ne voglia usufruire deve farne domanda al proprio datore di lavoro che può decidere di concederla o meno. Poco o quasi nulla v’è da dire su tale “diritto” previsto dall’art. 4 della Legge n. 53/2000. La richiesta di rimanere a casa da lavoro per accudire il proprio bambino senza ricevere nessun tipo di retribuzione è di solito frutto di una forte necessità o comunque richiesto solo in caso di eventi importanti o cause particolari. Statisticamente, infatti, tale istituto, messo a disposizione dalla normativa, viene utilizzato solo ed esclusivamente in presenza di gravi problemi familiari derivanti dalla nascita del bambino (malattie gravi, disabilità, ricoveri ospedalieri prolungati del nascituro). La domanda deve essere motivata e, se possibile, corredata da idonea documentazione. L’accoglienza della domanda da parte del datore di lavoro è totalmente discrezionale. Il suo unico obbligo, una volta concessa l’aspettativa, è mantenere intatto il posto di lavoro del dipendente in aspettativa.
Chi può chiederla
- le madri lavoratrici dipendenti con contratto di lavoro in essere;
- i padri lavoratori dipendenti con contratto di lavoro in essere.
Il lavoratore in aspettativa non ha diritto ad alcuna retribuzione, né al versamento dei contributi previdenziali. Ha però diritto, in sede pensionistica, a riscattare tale periodo ai fini contributivi, oppure, in alternativa, può decidere di coprire il periodo di assenza da lavoro con il versamento dei contributi previdenziali volontari (di tasca propria). Inoltre, il periodo di “non attività” non concorre alla maturazione dell’anzianità di servizio. In altre parole, l’aspettativa di maternità è come un periodo di totale sospensione, volto solo al mantenimento del posto di lavoro. Durante il periodo di aspettativa, infine, il lavoratore non può svolgere nessun altro tipo di attività lavorativa, pena il licenziamento.
E’ chiaro che il ricorso a tale istituto è il più possibile evitato dai genitori lavoratori che durante il periodo di astensione possono dedicarsi alle cure del figlio ma senza ricevere alcuna retribuzione.
Conclusioni
Di certo non è con tale istituto che lo Stato si pone a sostegno della maternità o della paternità. Tuttavia, a fronte della perdita del posto di lavoro, alcuni genitori in presenza di particolari necessità familiari, preferiscono mettersi in aspettativa e non essere retribuiti per assistere il proprio figlio in prima persona piuttosto che abbandonarlo a chissà quali altri cure o servizi per l’infanzia per di più carenti e certamente a pagamento.
In molti Paesi europei, le politiche di sostegno alla maternità e alla paternità sono più avanzate rispetto all’Italia. Ad esempio, alcuni Paesi offrono congedi parentali più lunghi e flessibili, incentivi economici e servizi di assistenza all’infanzia di alta qualità e accessibili. Prendendo spunto da questi esempi, l’Italia potrebbe continuare a lavorare per migliorare le proprie politiche a sostegno delle famiglie e della conciliazione tra lavoro e vita privata.