I principi di trasparenza e garanzia
È necessario che una Amministrazione pubblica coniughi il concetto di “trasparenza” in ogni ambito, intesa come “valore-chiave” e ossatura della concreta esecuzione dei poteri pubblici, nel senso di apprestare garanzia ed efficienza nella attuazione della azione amministrativa, al fine di prevenire fenomeni corruttivi.
Si tratta di principi generalmente utilizzabili da tutte le p.A., salva l’esistenza di casi specifici di esclusione.
Ciò vale a maggior ragione nel delicato e complesso settore degli appalti pubblici, sia nella fase antecedente che successiva alla aggiudicazione della procedura di appalto.
È quanto sancito dalla terza sezione del Consiglio di Stato con la sentenza n. 3780 del 5 giugno 2019.
Ne consegue che sussiste il diritto di un operatore economico ad accedere agli atti della gara a cui non ha partecipato. Un eventuale diniego non può trovare adeguato supporto motivazionale né nella quantità dei atti di cui si chiede l’ostensione (in quanto si fa riferimento ad un determinato procedimento in cui eventuali difficoltà della p.A. vanno adeguatamente documentate), né nella eventuale tipologia amministrativa-contabile dei documenti da mostrare: in tale ipotesi, esclusa qualsivoglia lesione anche solo potenziale della tutela di segreti industriali o commerciali dell’aggiudicatario finale – dovendo l’Amministrazione apprestare la dovuta cautela nel garantire l’ostensione della documentazione fiscale connessa alla procedura ad evidenza pubblica di riferimento – è interamente ostensibile la documentazione a cui si riferiscono gli importi liquidati in fase esecutiva.
Accesso civico generalizzato nel mondo degli appalti pubblici, secondo l’intenzione del legislatore e l’interpretazione giurisprudenziale
Introducendo l’istituto di matrice anglosassone nell’ordinamento giuridico, il legislatore ha auspicato l’applicazione di un accesso (appunto “generalizzato”) il più possibile ampio nei confronti delle documentazioni possedute dalle Amministrazioni.
In materia di contratti pubblici è ben possibile evidenziare, tuttavia, alcuni ostacoli alla sua diretta applicabilità con particolare riferimento agli atti ed i documenti di una procedura di affidamento e/o di esecuzione dei contratti di natura pubblicistica, come è osservabile dalla lettura coordinata dell’articolo 5 bis, commi 1 e 2 del decreto legislativo n. 33/2013, con gli articoli del diritto di accesso c.d. “ordinario” di cui alla legge n. 241 del 1990.
In casi del genere si tratta di stabilire se l’art. 53 del codice dei contratti – il quale prescrive il diritto di accesso per la regolamentazione de qua – sia in grado di escludere o meno la diretta applicabilità dell’istituto dell’accesso civico di cui alla normativa sopra citata.
In effetti, l’ostensione della documentazione è esclusa nelle ipotesi di segreti di Stato, negli altri casi tassativi previsti dalla legge, e dalle limitazioni stabilite dall’articolo 24 della legge sul procedimento amministravo.
Sul punto, l’orientamento giurisprudenziale amministrativo non è unanime, ma ha registrato orientamenti talvolta divergenti.
In un’ottica più restrittiva, il giudice di prime cure ha disposto l’esclusione del diritto di accesso rispetto agli atti relativi alla esecuzione di una gara di appalto, fornendo una interpretazione restrittiva della materia di cui all’articolo 53 D.Lgs n.. 50/2016 (cfr. in tal senso T.A.R. Lombardia – Milano, sezione I, n. 630 del 2019).
Secondo una differente posizione, andrebbe riconosciuta l’applicazione dell’accesso civico c.d. generalizzato anche e soprattutto nella materia degli appalti pubblici (cfr. T.A.R. Milano, n. 45 del 2019).
Il caso esaminato dal Consiglio di Stato: la nascita di un nuovo orientamento in tema di accesso civico generalizzato in materia di contratti pubblici?
Nel caso affrontato dai Giudici di Palazzo Spada, oggetto di controversia è risultata la verifica circa la legittimità o meno dell’istanza di accesso civico generalizzato riguardante gli atti di una procedura di gara conclusasi con l’aggiudicazione definitiva.
Una interpretazione costituzionalmente orientata della normativa che vada nel senso di garantire la massima trasparenza dell’operato della Amministrazione pubblica, non può essere limitata alla singola materia, ma solo a determinate “condizioni, modalità e limiti”.
I decreti legislativi tendono infatti all’attuazione dello stesso principio, anche alla luce della ratio che ha ispirato la novella riformatrice di cui al decreto legislativo n. 97 del 25 maggio 2016, ispiratosi al “Freedom of information act” di matrice anglosassone.
Tale formazione si è sviluppata da tempo nell’ordinamento giuridico americano, garantendo il massimo accesso ai dati da un lato, e definendo uno specifico numero di limitazioni dall’altro, nel tentativo di controllare l’operato delle istituzioni pubbliche per il perseguimento di scopi pubblici (cfr. Commissione Speciale del Consiglio di Stato, n. 515, 24 febbraio 2016).
La tenuta di un sistema così precario non può che essere consentita attraverso la chiara esplicitazione dell’elenco delle materie per le quali il diritto di accesso non può operare, non estensibili in alcun modo o richiamabili per situazioni analoghe.
Avv. Iacopo Correa